C’è un posto, in Italia, in cui il teatro musicale parla, costantemente, la lingua del presente. Dove in palcoscenico non salgono Violetta, Mimi e Maria Stuarda. Ma nemmeno Wozzeck, Katia Kabanova o Renate. Solo personaggi nuovi, inediti e letteralmente inauditi. È un luogo che conosce, da sempre, l’intarsio tra lingue molteplici, tra suoni plurali, tra culture limitrofe. Un luogo di frontiera, in cui l’anima austriaca e quella italiana cercano da sempre un incontro e si riflettono nella duplicità del nome: Bolzano/Bozen. La città che in passato, per la verità, non ha mai mostrato una marcata vocazione per la contemporaneità, ospita oggi la «Fondazione Haydn di Bolzano e Trento», una originale istituzione «a tre teste» che opera in tre territori diversi e in parte autonomi tra loro: la musica sinfonica, la danza e il teatro musicale. E in ognuno di questi territori il vento del nostro tempo soffia, ormai da almeno un decennio, con una energia mai vista prima. Le tre teste (ecco uno dei motivi) sono anche quelle di altrettanti direttori artistici: Giorgio Battistelli immagina e progetta, senza mai chiudere gli occhi di fronte alla musica nuova, la stagione sinfonica, Emanuele Masi dirige, nutrendo le molteplici epifanie della «nuova coreografia», il Festival Bolzano Danza e Matthias Lošek, infine, disegna l’architettura della stagione d’opera.

Il suo è il compito decisamente più arduo: il teatro musicale, carico delle sue «convenienze e incovenienze», tende a chiudere istintivamente le porte alle rivoluzioni linguistiche o anche solo alle riforme, preferendo spesso la strada consolatoria del già visto e del già sentito. Ma la stagione d’opera della Fondazione Haydn sembra curarsi assai poco dell’istinto di conservazione del teatro in musica, scegliendo al contrario la via della ricerca e della sperimentazione. La stagione appena trascorsa, che si è chiusa alla fine del mese di marzo, ha allineato ben quattro titoli che appartengono di diritto alla famiglia della cosiddetta «opera contemporanea». Il titolo-insegna, Larger than life, rivela una scelta programmatica precisa, rivendicata con passione da Matthias Lošek: raccontare storie di vita reale, del passato e del presente, in grado di riflettere, a diversi stadi di elaborazione simbolica, i conflitti, umani e sociali, del nostro tempo. Ha aperto la stagione Silence, il progetto vincitore del Concorso Fringe, riservato ad artisti appartenenti alla comunità italo-austriaca. Il libretto di Martina Badiluzzi, tratto da un racconto della scrittrice sudcoreana Han Kang, narra la metamorfosi di una donna che per sfuggire alle angosce della modernità si trasforma in una pianta. Un apologo solo apparentemente surreale che la compositrice Anna Sowa ha intonato ricorrendo ad un ingegnoso e vitale multistilismo.

Seconda prima assoluta Toteis, opera commissionata alla compositrice italiana (nata a Bressanone) Manuela Kerer, allieva di Alessandro Solbiati. Il libretto, realizzato da Martin Plattner, racconta la vicenda straordinaria di Viktoria Savs, una adolescente meranese che durante la Grande Guerra combatte sul fonte delle Dolomiti travestita da uomo e che durante uno scontro a fuoco perde una gamba. Accanto a due novità due riprese che appartengono ormai a un ristretto, ma vitale «repertorio»: una nuova efficacissima versione, registica e musicale, di Falcone. Il Tempo sospeso del volo, l’opera che Nicola Sani e Franco Ripa di Meana hanno dedicato alla figura del magistrato ucciso trent’anni fa a Capaci, e infine Powder her Face, la chamber opera composta nel 1995 da Thomas Adès che racconta il più celebre scandalo sessuale della swinging London degli anni Sessanta: il processo contro la duchessa di Argyl Margaret Campbell e i suoi 88 amanti. Si potrebbe chiedere: e il pubblico?

Il pubblico, incredibilmente, c’è: numeroso, attento, critico, appassionato. Vuol dire, forse, che il teatro musicale, nuovo o antico che sia, è ancora capace di parlare di noi, del nostro tempo, delle nostre vite