Cultura

Il presente senza alcun futuro che nutre la macchina sovranista

Il presente senza alcun futuro che nutre la macchina sovranistaUn’opera di Ethan Murrow

Scaffale La congiuntura politica e l’impasse del neoliberismo in «La crisi come arte di governo» di Dario Gentili per Quodlibet. L'autore spiega la natura della «crisi» in cui viviamo con un’importante categoria di Gramsci: l’interregno dove il vecchio muore e il nuovo non può nascere. Siamo al centro di una «rivoluzione passiva» dove la trasformazione politica è orientata alla conservazione di un sistema economico che è all’origine della crisi. La sola prospettiva di un’alternativa si situa oltre la dimensione dicotomica nazionale/globale; popolo/élite; autoctono/migrante

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 2 novembre 2018

Viviamo una crisi infinita che non produce alternative reali. Ogni soluzione porta a una nuova crisi, e così all’infinito. Il mare dell’eterna ripetizione del presente, un presente privo anche dell’incognita del futuro, è talvolta solcato da miraggi salvifici: il populismo, ad esempio, l’ultima scialuppa lanciata ai naufraghi. Presentato come alternativa al capitalismo di matrice neoliberale, in realtà è funzionale al mercato, il principio politico che organizza tanto la vita economica, quanto la vita sociale e la nostra antropologia. Strettamente collegata a questo suggestivo modernariato è l’evocazione di uno «Stato forte», «stato nazione», «sovrano».

CONCEPITO come l’alternativa alla globalizzazione, in realtà è un’articolazione del capitale e del suo governo. La ripresa del protezionismo, della guerra commerciale e quella contro i migranti, il rafforzamento delle politiche di polizia e il ritorno ai capi carismatici che parlano al «popolo» su Facebook sono una conseguenza di quella che Gramsci definì la «crisi organica» del capitalismo: la rinazionalizzazione delle masse, un fantomatico «partito unico» «oltre la destra e la sinistra» che evita di mettere in discussione l’egemonia del capitalismo e unifica il corpo sociale sotto un’unica bandiera contro i «nemici».

Questa è l’analisi della congiuntura politica esposta da Dario Gentili ne La crisi come arte di governo (Quodlibet, pp. 118, euro 16). Gentili spiega la natura della «crisi» in cui viviamo con un’altra importante categoria di Gramsci: l’interregno dove il vecchio muore e il nuovo non può nascere. Siamo al centro di una «rivoluzione passiva» dove la trasformazione politica è orientata alla conservazione di un sistema economico che è all’origine della crisi. Il capitalismo è la forma di questa crisi che non ha mai fine. È stato Marx a definire il suo sviluppo in questi termini. Ancor di più oggi la crisi è diventata un’arte del governo. All’orizzonte non c’è una liberazione, né una cura. Non c’è un sovrano che «decide sullo stato di eccezione». La funzione della sovranità sta nell’immunizzare dai rischi e amministrare gli squilibri, conservando l’ordine economico che li genera.

CIÒ CHE PERMETTE di comprendere queste ambivalenze è una filosofia del governo, non la teoria della sovranità. Quella di Friedrich von Hayek, uno dei padri fondatori del capitalismo in versione neoliberale, la cui opera è ripercorsa in maniera sintetica da Gentili. Destino singolare, quello di Hayek: evocato da tutti, poco conosciuto, equivocato in gran parte delle sue formulazioni, scarsamente compreso nelle sue decisive premesse ontologiche in un dibattito che oppone un’utopica efficienza del mercato al «ritorno» dello stato «sovrano». Il fondamento della società profetizzata da Hayek è il mercato che non risponde a criteri politici né di giustizia.

Dalla ricostruzione di Gentili emerge invece una ricostruzione realistica: Hayek ha annunciato un’epoca in cui lo Stato diventa una funzione della politica che conserva l’ordine attraverso la crisi permanente. Pensare che sia possibile riconquistare una funzione «originaria» dello Stato, quella sovrana distinta dal mercato, è probabilmente un’illusione. Il problema non è quello di ripristinare un equilibrio tra Stato e mercato, ma liberarsi di un governo che usa il rinnovato dualismo per confermare l’esistenza di un ordine «naturale» in cui la vita è precaria, vulnerabile e subalterna.

Gentili respinge l’idea che il potere sia una mega-macchina che domina tutto e nulla lascia alla speranza di una trasformazione. Anche il potere che nulla sembra lasciare fuori di sé, è in realtà il prodotto di rapporti di forza. L’interregno in cui viviamo è il risultato di una storia, non l’esito di un incantesimo. Per romperlo bisogna uscire dalla dimensione dicotomica nazionale/globale; popolo/élite; autoctono/migrante. Rassegnarsi a questo assetto bipolare della politica contemporanea significa riprodurre il dispositivo della crisi.

L’ALTERNATIVA passa per una risignificazione del conflitto. Non quello funzionale alla neutralizzazione in atto, ma quello che istituisce una forma di vita che prova a sottrarsi al pensiero binario, intreccia elementi molteplici, connette dimensioni eterogenee non riducibili all’ordine spontaneo del mercato che Hayek ha definito «cosmo» o «catallassi». «Bisogna creare un altro cosmo», scrive Gentili, che non dipende nemmeno dal fantasma del potere sovrano. Si tratta di un «cosmo» mobile, mai dato una volta per sempre; basato sul conflitto sulla forma e sul contenuto del vivere insieme; su una potenza irriducibile alla mera sopravvivenza, ma che crea nuove forme di vita.

«COME RIAPRIRE il campo delle alternative politiche?», questa è la domanda che percorre il libro dall’inizio alla fine. Decidiamolo insieme con un atto di creazione che scombina le parti e le rimette in gioco in maniera imprevedibile.

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