Visioni

Il presente nella strade di «Torpigna»

Il presente nella strade di «Torpigna»

Cinema «Bangla», esordio alla regia di Phaim Bhuiyan, in concorso al festival olandese nella sezione Big Screen. Una commedia alla prima persona tra amore e conflitti di identità

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 2 febbraio 2019

Lui si chiama Phaim, lei si chiama Asia Blu, hanno vent’anni più o meno, si incontrano, si piacciono, si innamorano. Fine della storia. Anzi no perché questo «boy meets girl» è solo l’inizio di infiniti problemi per i due protagonisti e, seppure a diversa intensità per chi gli sta intorno, con lo scompiglio improvviso di certezze (e autocertezze), luoghi comuni, stili di vita alternativi e modalità tradizionali. Bangla l’esordio alla regia di Phaim Bhuiyan, uno dei successi in questa edizione del Festival di Rotterdam (fino al 3 febbraio) – dove la selezione italiana è stata capace di restituire le molteplici tendenze del cinema nostrano – è una commedia che usa l’autofinzione (il regista ne è anche il protagonista) con ironia e molto umorismo per raccontare la vita di un ragazzo 2G, la seconda generazione, i figli nati in Italia di immigrati, «dall’interno» senza pregiudizi né indulgenze.

PERCHÉ  Phaim è come dice di sé 50% bangla, 50% italiano ma soprattutto 100% di «Torpigna», ossia Torpignattara, il quartiere romano dove il film si svolge, di cui il personaggio (col suo stesso nome) traccia una sintetica quanto precisissima cartografia all’inizio. Ci sono i creativi che si accoppiano tra loro, prendono l’aperitivo e chiamano i figli coi nomi strani, ci sono gli immigrati che parlano, specie i «bangla», italiano malissimo, e ci sono i vecchi che non sanno più dove girarsi di fronte al cambiamento della zona. Lui, Phaim, che parla romano, è musulmano, suona in un gruppo, famiglia molto tradizionale – specie la mamma che tutto decide. Nella moschea il giovane e affascinante imam spiega cosa si deve fare e cosa no, la sorella maggiore si sposerà presto con un fidanzato che non è nemmeno sicura di amare, all’amico chitarrista è stato già combinato il matrimonio. Anche a lui toccherà prima o poi la stessa sorte e nell’attesa niente alcol ma soprattutto niente sesso.

FINCHÉ appunto non compare Asia (Carlotta Antonelli) , famiglia che concentra ogni possibile variazione della contemporaneità, genitori separati, mamma che sta con una compagna, fratellino nato con la fecondazione assistita. Asia fa domande dirette – «Ti masturbi almeno?» – alle sue dichiarazioni di verginità, e Phaim fatica a rispondere. Come tenere i mondi insieme, e senza «peccare» o farsi scoprire dalla famiglia?
La forza di Bangla (nella sezione Big Screen Competition) – e la sua dirompente scommessa specie nell’Italia di oggi – è quella di guardare da tutte le parti: in una prima persona a cui la distanza narrativa permette una scanzonata libertà (la sceneggiatura è dello stesso Phaim Bhuiyan e di Vanessa Picciarelli), il regista come un Kureishi del nuovo millennio, dà voce alle tensioni di una «seconda generazione» in bilico tra la tradizione, e i suoi obblighi, e i desideri normalissimi di un qualsiasi ragazzo/ragazza di qui, illuminando con precisione anche i luoghi comuni dell’«altra parte». Che sono le ipocrisie ben radicate pure nelle famiglie alternativissime – peraltro insopportabili come ogni famiglia – e nei nasi arricciati delle amiche Roma nord di Asia di fronte al nuovo fidanzato – «oddio quanto è brutto».

NON È un «noi» e «loro» quello che mette in scena il film ma un solo «noi» fatto di differenze, coi i suoi conflitti, le incomprensioni, e soprattutto con un’idea di «identità» (e appartenenza) fluida. Perché nonostante quello che pensano i razzisti nostrani – e mondiali – e i diffidenti, questo è il nostro mondo, Phaim ce lo dice scegliendo la leggerezza (si ride molto guardando il film) e con la profondità di chi sa mettersi in gioco, senza aggrapparsi a semplificazioni e a schemi. Lui che a Torpigna è nato e cresciuto – pure se la cittadinanza italiana l’ha avuta a diciotto anni – sa ascoltare il nostro tempo e le sue contraddizioni come da tante parti non si fa più.

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