Cultura

Il presente e il discorso europeo dominante

Il presente e il discorso europeo dominanteLa filosofa Susan Buck-Morss

SCAFFALE «Hegel e Haiti. Schiavi, filosofi e piantagioni» (ombre corte). Un denso volume di Susan Buck-Morss, docente della Cornell University

Pubblicato circa un anno faEdizione del 13 settembre 2023

È necessario fare chiarezza e confrontarsi con i fenomeni e i processi storici perturbanti, con i fatti e le azioni in contrasto con le retoriche ufficiali e le analisi che esaltano i vincitori. A questa esigenza contribuisce la studiosa Susan Buck-Morss, professoressa di Filosofia politica e teoria sociale presso il Department of Government della Cornell University, con il libro Hegel e Haiti. Schiavi, filosofi e piantagioni pubblicato da ombre corte con la traduzione di Francesco Francis (pp. 86, euro 9).

IL TESTO SI CONFRONTA con il tema della schiavitù, analizzando, attraverso lo studio dei principali filosofi politici europei del 1600-1800, come essa è stata pensata, giustificata e, con difficoltà, combattuta. Dunque, si tratta di un libro sulla storia della filosofia, di un libro specialistico? Sì, nel senso di un’elaborazione che si confronta in modo critico, e approfondito, con una parte importante del pensiero filosofico moderno. No, in quanto Buck-Morss ha scritto un testo che parla anche dell’attualità, dei modi in cui il discorso europeo dominante ancora riesca a eludere, se non a giustificare, il peso strutturale che la schiavitù importata nel sistema brutale delle piantagioni ha avuto nella sua storia di dominazione sul mondo, così come le violenze agite nelle colonie fino agli ultimi giorni della loro liberazione (il caso francese in Algeria è tra quelli più emblematici, come ci ricordano, ad esempio, gli scritti di Frantz Fanon o il film La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo).

Dunque, siamo di fronte a un testo da assumere anche per interpretare il presente, comprese le forme del governo delle migrazioni e le politiche neocoloniali europee. E va letto insieme ad altri saggi, in combinazione, per lo meno, con il classico I giacobini neri. La prima rivolta contro l’uomo bianco di Cyril Lionel Robert James (pubblicato in italiano da Deriveapprodi), e con La Rivoluzione haitiana. Scritti politici e giuridici (1789-1805), curato da Lorenzo Ravano per la stessa casa editrice ombre corte.

IL MOTIVO? Come scrive nelle conclusioni l’autrice, in quanto «può riscattare l’idea di una storia universale dell’uomo dagli usi che ne ha fatto la dominazione bianca». E può essere utile a comprendere che il progetto di una libertà universale è ancora possibile – il razionale (la libertà) può ancora divenire reale storico, usando categorie dello stesso Hegel – anche se richiede una profonda critica del razzismo e un superamento, non ancora avvenuto, dell’idea di superiorità etica e valoriale da parte dell’Europa, e dell’Occidente più in generale, verso il resto del mondo.

A questa tensione alla libertà hanno partecipato non solo la Rivoluzione inglese, francese e americana, ma anche quella degli schiavi a Santo Domingo a cavallo tra ’700 e ’800, guidata da Toussaint Louverture, culminata nella dichiarazione di indipendenza di Haiti nel 1804, oltre che la rivoluzione sovietica e le lotte di liberazione anticoloniali.

Il pensiero europeo moderno ha avuto difficoltà a riconoscere le rivoluzioni nel resto del mondo, a partire proprio da quella a Santo Domingo, ma questa difficoltà è stata contraddittoria, come viene ricostruito da Susan Buck-Morss proprio con riferimento all’atteggiamento di Hegel verso la rivoluzione degli schiavi. Il filosofo tedesco ne era informato e, secondo l’autrice, avrebbe tratto da quella lotta l’idea espressa ne La fenomenologia dello spirito (pubblicata nel 1807) della dialettica servo-padrone e della sua tendenza verso «la completa eliminazione della schiavitù come istituzione».

SUCCESSIVAMENTE, forse anche in connessione con la crisi vissuta da Haiti, in parte dovuta alle mancate riforme della proprietà della terra che resero in una certa misura vana l’emancipazione politica degli schiavi, Hegel ripiegò da queste posizioni. Egli giunse ad approfondire il razzismo culturale verso le popolazioni africane, liquidate in Lezioni sulla filosofia della storia (tenute tra il 1821 e il 1831) come barbare e selvatiche, e a manifestare un relativo consenso verso la schiavitù, da eliminare solo gradualmente.

Questa deriva ha alimentato, successivamente, l’eurocentrismo, ma va compresa insieme agli eventi storici con cui si confrontò e, più ampiamente, all’interno dello stesso pensiero di Hegel, il quale si trovò a vivere la tensione tra liberazione e conservazione dei rapporti di schiavitù, che, dopo due secoli, tiene ancora l’Europa e il mondo in movimento.

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