Visioni

Il potere del rebetiko salva la Grecia dallo spread

Il potere del rebetiko salva la Grecia dallo spreadVinicio Capossela

Locarno 66 Apertura stasera con Indebito, il lavoro di Andrea Segre e Vinicio Capossela

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 7 agosto 2013

L’edizione 66 del Festival di Locarno – numero quasi «stregato» – che si apre oggi, ha in sé un’aspettativa speciale, è la prima infatti con la nuova direzione di Carlo Chatrian, che succede a Olivier Pére, passato alla direzione di Arte France Cinema. Eredità «complicata» quella di Chatrian di fronte il glamour di Pere, forse uno dei direttori più mediatici della rassegna ticinese, alla cui personalità ne era stato affidato il rilancio dopo qualche anno un po’ in sordina. Chatrian, critico e organizzatore, ha però un lungo allenamento nei festival, e anche nella stessa macchina locarnese, e sulla carta la sua line up ha già conquistato unanimi consensi critici – dalla rivista americana Variety alla cinefilia internazionale più di tendenza che da giorni sui social network si dà appuntamento (imperdibile) sulle rive del lago.

Il cartellone, del resto, disegna un insieme di «antipodi» per dirne uno da Werner Herzog (a cui verrà consegnato il Pardo d’onore con la proiezione dei nuovi episodi della serie Death Row – ) a Sergio Castellitto (protagonista di un omaggio), inaugurando oltre alle tradizionali sezioni, la Piazza Grande, il concorso (presidente della giuria Lav Diaz), i Cineasti del presente, la retrospettiva George Cukor, una nuova sezione Fuori concorso, spavaldamente in alternativa alla serata della Piazza, dove incontriamo i «must» della ricerca contemporanea, a cominciare da Ben Rivers e Ben Russell, di cui Locarno mostra il molto atteso film a due mani (sul quale lavorano da qualche anno) A spell to ward off the Darkness fino a Raya Martin con il radioheadiano (almeno nel titolo) How to disappear completely.

Rimanendo «sulla carta» gli ostacoli sembrano essere stati quelli abituali con cui devono confrontarsi i selezionatori svizzeri da qualche anno: il rapporto faticoso col cinema italiano, che la vicinanza con la Mostra di Venezia – e adesso il Festival di Roma – non aiutano. E la difficoltà di «fabbricare» la Piazza con i costi sempre più alti delle major (assenti ormai anche da Cannes e Venezia).
Targato Italia in gara c’è un solo film, Sangue di Pippo Delbono, che da quando è stato annunciato rimbalza sulle cronache anche se solo quelle nostrane, per la presenza di Giovanni Senzani, ex brigatista che insieme allo stesso Delbono ne è protagonista. Tanto basta a scatenare il solito «circo mediatico» sull’argomento che come al solito va al di là del film. Delbono comunque è una presenza abituale a Locarno, dove qualche anno fa gli è stata dedicata una retrospettiva di grande successo.

In Piazza sarà presentato La variabile umana, l’altro titolo italiano, anche questo una scommessa per il festival, che punta sull’esordio di un regista, Bruno Oliviero, e per il regista stesso, che dopo molti documentari passa al lungometraggio di finzione con una storia di «genere», quasi un noir emozionale, con protagonista un inedito Silvio Orlando, la cui tensione è tutta giocata sulla messinscena. E se la Piazza dopo le presentazioni di giurie e primi ospiti, affida la sua apertura a 2 Guns di Baltasar Kormàkur, il regista islandese ora americano, anche lui una creatura del festival che lo lanciò nel 2000 con 101 Reykjavik, l’evento della prima giornata sembra essere l’arrivo con concerto di Vinicio Capossela che segue il film di cui è protagonista, il doc nel Fuori concorso di Andrea Segre (che col suo secondo film, La prima neve sarà negli Orizzonti veneziani) Indebito.

Capossela e Segre lo hanno scritto insieme, il motivo conduttore sono il rebetiko, la musica nata in Grecia, all’inizio del secolo scorso, tra i marginali e i ribelli che parlava di amore, di povertà, di prigione di droghe… Che raccontava storie proibite e malviste dai benpensanti, di prostitute e di bassifondi. I rebetes erano i ribelli, e la crisi e la ribellione di un tempo nelle strade della Grecia di oggi nelle parole e nelle note che hanno attraversato il tempo divengono quelle presenti. Un tempo era Smirne, e il dolore per la persecuzione e per l’esilio, i greci cacciati dai turchi nel 22 e massacrati, deportati, o costretti chi è rimasto a nascondersi e a cambiare nome. Segre utilizza anche degli archivi, le immagini di migliaia di persone incolonnate che trascina ciò che può nell’abbandono per sempre di case, luoghi, affetti … Incontra studiosi, che ci dicono la potenza dissacrante di questa musica, ancora oggi molto forte, e musicisti che suonano e raccontano.

Il debito: quello in cui si gioca il senso della democrazia. E non solo perché siamo nel paese che l’ha inventata, ma perché si è ben visto dalle nostre parti il sistema delle banche in nome dello spread impone l’emergenza per la quale tutto diviene possibile e lecito. «Il debito centrale forse parla dei conti delle banche ma la musica parla dei conti delle persone, questa musica soprattutto. Mi sembra importante che siano le persone a parlare più che i loro rappresentanti» dice Capossela.
Armato di un quadernetto, gira nelle taverne, tra i vicoli di Atene, Salonicco, Ikaria, Creta, incontra i cantanti di rebetiko di ieri e di oggi. Qualcuno che ha iniziato per caso, e da giovane girava con le sue poesie in musica per un bicchiere di vino. Qualcun altro, come Theodora Athanasiou ha fatto del rebetiko la sua musica di resistenza all’oggi, a quella crisi che soffoca e annienta prospettive, presente e futuro. A volte suonano insieme scambiandosi le parole, intorno il paesaggio un po’ dimenticato e fuori dal tempo della crisi: negozi chiusi, scritte di rabbia, la protesta che cerca altri mezzi.

Lo stile è semplice, Segre più che a filmare la musica sembra interessato a raccontare le persone che la fanno, la loro realtà e ciò che vi è intorno, reale o trasognato (la fotografia è di Luca Bigazzi) cercando insieme il nostro tempo e un antidoto a esso in quei rifugi che con ostinazione affermano il loro antagonismo. Si beve, si balla, si canta. La lotta è anche il piacere di ritrovarsi, di un sentimento comune e condiviso. Qualcosa che consideri il senso delle persone, e delle loro storie, della loro vita. Qualcosa di concreto contro il ricatto astratto della politica e dell’economia. Qualcosa che ci dice che però non vuole arrendersi.

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