Cultura

Il popolo nel concetto filosofico del tempo

Il popolo nel concetto filosofico del tempoUna installazione di Antony Gormley

SCAFFALE «Sovranità intergenerazionale», un volume di Alessandro Ferrara per Edizioni Società Aperta

Pubblicato circa un mese faEdizione del 18 agosto 2024

Due questioni, su tutte, sono al centro del volume di Alessandro Ferrara (uscito per Oxford University Press nel 2023 e ora in traduzione italiana per Edizioni Società Aperta con il titolo di Sovranità intergenerazionale, pp. 522, euro 36): la prima riguarda la costituzione degli Stati, ovvero la natura del potere costituente, la seconda la loro durata, che coincide largamente con la possibilità di mantenere attivo l’esercizio di tale potere. Si tratta, in definitiva, di pensare la natura della sovranità transgenerazionale. La prospettiva in cui l’autore si inserisce è quella del liberalismo rawlsiano, nel cui quadro Ferrara tenta di colmare alcune assenze teoriche e precisamente quelle che prendono l’avvio dall’osservazione di Rousseau: «prima dunque di esaminare l’atto con cui il popolo elegge un re, sarebbe bene esaminare l’atto in virtù del quale un popolo è un popolo». Prima, cioè, di avviare l’indagine sulla natura e sui dispositivi che permettono l’esercizio del potere costituente, sarebbe necessario occuparsi dell’ontologia sottostante, ovvero di rispondere alla domanda «a cosa ci riferiamo quando utilizziamo il concetto di popolo?».

LA PROPOSTA ORIGINALE elaborata da Alessandro Ferrara consiste nell’imbastire una ontologia che possa fare da sostegno alla filosofia politica, dunque nell’intrecciare ontologia e filosofia politica, partendo per altro da una questione di grande attualità, ovvero l’idea che i populismi che stanno interessando le democrazie occidentali debbano molto a una confusione epistemologico-ontologica, ovvero all’idea che il popolo sia per lo più scambiato per uno dei suoi segmenti, in particolare quello che costituisce l’elettorato attivo. Questa concezione, filosoficamente infondata, è quella a cui tendono la maggior parte dei governi e dei partiti nell’esercizio della loro prassi politica, per ovvie ragioni di convenienza; d’altra parte, il concetto di popolo richiama una idea più complessa nella quale gioca un ruolo fondamentale la componente temporale.

SULLA SCORTA DELLE ANALISI di Hans Lindahl, Ferrara distingue tra ethnos e popolo, sottolineando che mentre il primo rimanda a una idea grezza di aggregato sociale, il secondo implica un cambiamento di stato di quell’aggregato dovuto all’esercizio dell’atto costituente, e perciò fondante, di uno Stato. Tale atto è quello che porta in essere, disegnandone i contenuti, la costituzione su cui poggia lo Stato. Non si mancherà di notare come quest’atto presenti almeno due caratteristiche particolari: innanzitutto viene esercitato da un ethos che non è ancora popolo, ma che tuttavia può produrre quella spinta agentiva per disegnare il soggetto ideale e insieme normativo che è il popolo; inoltre, si tratta di un atto che non è necessariamente totalmente inclusivo, può ben essere, infatti, che non tutto l’ethnos confluisca nel popolo, ma che anzi una parte ne resti ai margini assumendo una postura dialettica. Ora, posto che si accetti l’idea di fondo, ovvero che il popolo non va identificato né con l’ethnos né, tanto meno, con il segmento di elettorato attivo, dovremmo forse identificarlo con i costituenti, ovvero con quel segmento di cittadini che ha partecipato in maniera diretta o indiretta all’esercizio del potere costituente? È a questa altezza della argomentazione che Ferrara propone la sua idea di sovranità transgenerazionale; idea che va a pieno titolo ad aggiungersi ai numerosi lavori di filosofia teoretica e morale che stanno sviluppando una visione alternativa di società, in grado cioè di inserire la prospettiva liberale e individuale in una visione più ampia, che tenga in debito conto il tempo.

IN EFFETTI, questa idea di sovranità ci impone di occuparci dei modi in cui tutti gli individui (quelli che sono, sono stati e saranno) possano vedersi riconosciuta una qualche forma di agibilità politica e l’esercizio dei diritti fondamentali. Tale approccio permette anche di domandarci non soltanto cosa possiamo fare per accrescere la giustizia tra i cittadini che vivono oggi nelle nostre democrazie — operazione già di per sé non banale — ma anche cosa possiamo fare, ovvero quali dispositivi abbiamo a disposizione e quali altri possiamo affinare o istituire, per permettere ai segmenti di popolo che non detengono ancora o non detengono più l’agibilità politica di essere rappresentati al meglio.

SI TRATTA, DUNQUE, di porre il problema della rappresentanza e, attraverso di essa, della giustizia diacronica, dal punto di vista politico: operazione necessaria non solo perché si tratta di una delle grandi assenze delle analisi in filosofia e forse, di riflesso, della prassi politica contemporanea, ma anche perché alcuni dei problemi che più impegnano l’umanità in questa fase storica (crisi climatica, sostenibilità dello stato sociale, trasformazioni tecnologiche su tutti) rimandano a questioni di giustizia diacronica e di legittimità dei soggetti e delle loro decisioni politiche.
Nella parte conclusiva del libro, quindi, Ferrara affronta due questioni: il tema della rappresentanza del popolo, che cosa significhi rappresentare non solo il segmento elettorale attivo, ma anche coloro i quali hanno avuto e avranno agibilità politica, e con quali strumenti giuridici è possibile farlo. L’autore propone l’idea che il popolo transgenerazionale possa essere rappresentato da una corte suprema o costituzionale, attraverso l’esercizio del giudizio, interpretando la legge suprema di cui il popolo stesso è autore. Ciò significa accordare spazio non solo, come da tradizione, al potere costitutivo, ma pure al potere emendativo. Per tutti coloro i quali trattano la costituzione come il libro dei dogmi, questo passaggio è estremamente delicato; tuttavia, si tratta di trovare il giusto equilibrio affinché il popolo conservi una identità dinamica, mantenendo inalterate le qualità che sono state al centro dell’atto costitutivo e permettendo le necessarie trasformazioni di quelle meno identitarie.

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