Il popolo del Pollino
Storie Terra di tutti e di nessuno, saccheggiato da arcaici e moderni capitalismi, eppure chi ci abita prova a valorizzarlo. Ma i problemi sono tanti, dalle strade dissestate all’inquinamento. Un festival, Radicazioni, diventa ogni anno luogo di incontro e di confronto
Storie Terra di tutti e di nessuno, saccheggiato da arcaici e moderni capitalismi, eppure chi ci abita prova a valorizzarlo. Ma i problemi sono tanti, dalle strade dissestate all’inquinamento. Un festival, Radicazioni, diventa ogni anno luogo di incontro e di confronto
Alessandria del Carretto resiste allo spopolamento che sta svuotando decine di Comuni calabresi. All’indifferenza della locale classe politica i suoi 500 abitanti rispondono a suon di musica, pubblici dibattiti e manifestazioni, sfoderando un’ospitalità inusuale tra i popoli di montagna. Nello scorso inverno è franata la principale strada di collegamento col resto del mondo. Nei mesi successivi è stata solo in parte resa percorribile. Interi tratti restano pericolanti e minacciano di smottare alla prima pioggia.
Eppure migliaia di persone continuano a frequentare questo stupendo borgo del Pollino in occasione dei mille eventi culturali che ospita in estate e non solo.
Spiriti presunti e reali appaiono e scompaiono nelle foreste che affratellano Calabria e Basilicata. I criptozoologi, gli appassionati di animali misteriosi e specie estinte, ipotizzano che la lince sia tornata a popolare questo spicchio di Appennino. Gli ambientalisti invece rovistano ancora tra le tracce lasciate dai tecnici di una società americana piombata qui qualche anno fa per cercare il petrolio. Oro nero pare non ne abbiano trovato. Di certo, sono spariti nel nulla. E sarà una coincidenza, ma da allora la percentuale dei malati di tumore è aumentata in modo esponenziale.
Terra di tutti e di nessuno il Pollino, saccheggiato da capitalismi arcaici e moderni. Eppure chi ci abita, se lo sento suo. Lo valorizza e lo difende. Qui le barriere regionali non contano. Di comune ci sono i beni e gli incubi. Come quello della strada che collega la costa jonica ad Alessandria del Carretto, la SS 153 franata in tre punti nell’ultimo inverno. Soltanto l’amministrazione provinciale avrebbe poteri e competenze per ricostruirla. Il 23 febbraio scorso gli Alessandrini hanno dato vita a una lunga marcia per chiederne il ripristino e la riapertura. Da 21 giorni il paese era isolato, interrotto il servizio navetta per gli studenti, gli abitanti in maggioranza anziani e con problemi di salute, senza servizio medico efficiente.
Qui se vuoi un farmaco, lo devi prenotare il giorno prima, in una regione in cui la Corte dei conti ha da poco denunciato gli sprechi derivanti dall’astronomica spesa per gli incarichi dirigenziali.
Ad Alessandria e dintorni volevano tutti bene a Marco Arvia, giovane e valente veterinario stimatissimo in paese, che aveva denunciato la vicenda della strada interrotta, scrivendo diversi articoli sulla vicenda. Chissà cosa avrebbe detto adesso lui, percorrendo la strada riaperta al traffico eppure pericolosissima, ridotta a mulattiera in lunghi tratti. In una sera del 2 marzo 2014 Marco è finito con la sua macchina in una scarpata, insieme a due amici. Ci sono volute diverse ore per tirarlo fuori, privo di vita. In paese era da poco caduta nel vuoto la richiesta di un’ambulanza fissa.
In un primo confronto pubblico, nella scorsa primavera, il vicepresidente della Provincia Mario Melfi ha dichiarato l’indisponibilità dei fondi, ma nel frattempo ipotizzava un reddito di cittadinanza per i giovani residenti oltre i 500 metri di altitudine. Sparito nel nulla pure il piano di superamento della situazione critica proposto dagli Alessandrini perché in contemporanea stava affiorando un’emergenza più «grossa»: la crisi politica determinata dai guai giudiziari del governatore Scopelliti.
Nel confronto organizzato nella prima serata di Radicazioni, il festival culturale e musicale che qui si tiene da 11 anni, i rappresentanti istituzionali hanno ribadito che per ammodernare la vecchia strada, soldi non ce ne sono. E Mario «Palla palla» Oliverio, presidente uscente della Provincia di Cosenza, non s’è presentato. Gli organizzatori del festival Radicazioni l’avevano invitato al pubblico dibattito. Ma in queste ore ha la testa impegnata in tutt’altre faccende. La campagna elettorale per le primarie delle regionali in Calabria si fa pressante. Lui sfida il renziano Callipo, principe ereditario del tonno, e il vendoliano Giannino Speranza. Eppure ad Alessandria del Carretto «Palla Palla» l’aspettavano in tanti, perlomeno dal 2 febbraio scorso, da quando è avvenuta la frana. Il 3 e 4 febbraio il presidente era tra le vicine Villapiana e Trebisacce ad inaugurare plessi scolastici e centri polivalenti. Forse perché in fondo mezza popolazione del Pollino, in assenza di infrastrutture e servizi, è destinata a trasferirsi in basso, sullo Jonio: le scuole stanno chiudendo, l’ufficio postale funziona una volta a settimana.
Già l’antropologo Vittorio De Seta, nel documentario I Dimenticati, per denunciare l’isolamento di questo Comune, nel 1959 organizzò una marcia. All’epoca i Sindaci inviarono denunce in parlamento. Per De Seta la festa dell’abete, la «Pita», il plurisecolare rituale popolare che si tiene ogni anno nel cuore di primavera, è l’unico momento di affermazione dell’identità. Il regista e antropologo Giovanni Sole ha dedicato a questi luoghi il gustosissimo Belli e brutti. Apollineo e dionisiaco ad Alessandria del Carretto. Anche il regista Michelangelo Frammartino vi si arrampica spesso. Nel suo Le quattro volte, premiato a Cannes nel 2010, uno degli episodi è dedicato alla festa dell’Abete e al tema della reincarnazione delle anime in quattro elementi.
Paolo Napoli è musicista ed attivista della Francesco Vuodo, l’associazione che organizza ogni estate il festival Radicazioni. Come lo Joggi Avant Folk, un’altra prestigiosa rassegna culturale e musicale completamente autofinanziata che da 17 anni si tiene a poche decine di chilometri, Radicazioni attecchisce nella comunità in cui ha trovato origine.
Napoli annuncia clamorose iniziative di sensibilizzazione e protesta per il prossimo autunno. E lancia un monito: «Non siamo più soli. Con numerose altre associazioni del Pollino e della Sibaritide abbiamo formato la Rete Associazioni della Sibaritide e del Pollino per l’Autotutela. Il nostro – spiega Paolo Napoli – è un radicamento dinamico, non statico. Le radici a volte possono essere ambigue, perché legano. Noi invece non vogliamo sentirci frenati. L’identità è pericolosa, è un concetto ambiguo che preferiamo non esaltare mai. Ci interessano gli incontri e gli scontri culturali. Non ci piace l’identità locale a discapito di altre. A noi non interessa la valorizzazione, bensì rendere visibili le criticità del territorio».
A Radicazioni quest’anno ha trovato spazio la presentazione del libro-inchiesta di Danilo Gatto, ex Re Niliu, Basta tarantelle, sulla nascita del folk festival in Calabria e sulla gestione corsara dei finanziamenti pubblici per la realizzazione di questi eventi: la musica, come le grandi opere, è territorio di caccia delle borghesie più o meno mafiose. Ma da un po’ di tempo, qui come altrove, fiorisce una nuova generazione di giovani ribelli. Isabella Violante è attivista di R.A.S.P.A.: «Vogliamo porre una resistenza all’indifferenza. Le questioni aperte sono tante. Per il megalotto della terza strada statale 106, a Trebisacce, non c’è stata alcuna consultazione popolare. È la Amendolara-Sibari, l’unica che non serve.
Adesso chiediamo conto alla classe politica su queste scelte». Le fa eco Caterina Ierovante, anch’ella impegnata nelle stesse lotte a difesa dei beni comuni tra Pollino e Sibaritide: «Per la realizzazione di questa infrastruttura, di fatto, ancora non ci sono i soldi. C’è il rischio serio dell’ennesima costruzione senza inizio e senza fine. Monte Mostarico sarà deturpato dal cantiere». La lotta per il ripristino della linea ferroviaria jonica, solidale col movimento NoTav della Val Susa, si allarga alla mobilitazione contro le trivellazioni sulla costa e contro i progetti Enel per la vicina centrale del Mercure. Così dopo tanti decenni, da quando queste latitudini erano solcate dai briganti, Jonio e Pollino sono un’unica terra. Che per dirla con Jaques, musicista francese trapiantato ad Alessandria da sei anni, «non è il paradiso ma è molto lontana dall’inferno».
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