Cultura

Il poliziotto insubordinato

Il poliziotto insubordinatoFrancisco «Paco» González Ledesma

Narrativa Addio allo scrittore spagnolo Francisco «Paco» González Ledesma, inventore dell'ispettore Méndez. Tutti i suoi libri, polizieschi e romanzi tout court, costruiscono insieme il ritratto di una città: Barcellona

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 4 marzo 2015

Per innumerevoli lettori degli anni ’50 e ’60 era Silver Kane, popolarissimo autore di almeno un migliaio di western abilmente costruiti; per le divoratrici di romanzi sentimentali, invece, in quello stesso periodo era Rosa Alcázar o Silvia Valdemar, entrambe instancabili confezionatrici di storie d’amore a lieto fine; per chi preferiva la suspense si chiamava Taylor Mummy e, molti anni dopo, sarebbe diventato Enrique Moriel, a beneficio di quanti apprezzano i più esoterici misteri del fantastico urbano.

Ma in realtà era sempre lui, Francisco «Paco» González Ledesma, nato nel 1927 a Barcellona, la città dove è morto lunedì due marzo, a quindici giorni dal suo ottantottesimo compleanno: prima ancora che una macchina per narrare così instancabile da potersi paragonare a Georges Simenon (anche lui, in gioventù, forsennato produttore di storie, nascosto dietro svariati pseudonimi), un uomo di straordinaria umanità, rigore morale e fedeltà alle proprie idee, e anche uno dei pochi romanzieri popolari spagnoli che sia riuscito a diventare uno scrittore tout court, pubblicato da grandi editori e tradotto in diverse lingue, grazie a un certo numero di romanzi non di «genere» e soprattutto agli undici pregevoli polizieschi che hanno come protagonista il sarcastico e malinconico ispettore Méndez.

Di Ledesma il pubblico italiano conosce almeno sette romanzi della serie Méndez, proposti con un certo successo nel nostro paese da editori diversi (Hobby & Work, Mondadori, Giano, Giunti), cui si aggiungono un fantasy ambientato a Barcellona e firmato Enrique Moriel (La città senza tempo, Bompiani 2009), e un magnifico, crudo noir sulla transizione dal franchismo alla democrazia intitolato Soldados (Meridiano Zero, 1999).

Non è mai stato tradotto, invece, quello che per alcuni è il suo libro migliore, ovvero Historia de mis calles (2006), un’autobiografia in cui lo scrittore narra la sua infanzia di bambino povero e precoce (i primi racconti li scrisse a dodici anni) cresciuto per le strade del Poble Sec, e gli anni di studio e di lavoro che gli permisero di laurearsi in legge, per poi scoprire che la professione di avvocato non faceva per lui e guadagnarsi la vita prima scrivendo un paio di romanzi alla settimana per l’Editorial Bruguera – regina della stampa popolare che sfruttava un piccolo esercito di disegnatori e anonimi scrittori – e poi dedicandosi al giornalismo.

Partito dallo scalino più basso e grazie a un lungo e minuzioso apprendistato, Ledesma divenne infine capo redattore del quotidiano La Vanguardia, ma non smise mai di dedicarsi alla narrativa, la sua passione più autentica. A ventun’anni non aveva forse aveva vinto con Sombras viejas il Premio Nacional de Novela, istituito dall’editore Janés e assegnato da una giuria di cui faceva parte Somerset Maugham?
Il libro, giudicato «comunista e pornografico» dalla censura franchista, non si poté stampare se non dopo la fine del regime, e a Ledesma fu impedito di pubblicare fino al 1977; ma nel 1983 ecco apparire finalmente e con immediata fortuna il primo libro in cui si affaccia Ricardo Méndez: Expediente Barcelona, subito premiato e tradotto da Gallimard, con un successo perfino superiore a quello ottenuto in Spagna.

Sgradito ai suoi superiori – sia durante il franchismo che in democrazia – perché incline all’insubordinazione, anticonformista, poco rispettoso della legge ma rispettosissimo della propria idea di giustizia e, come se non bastasse, appassionato lettore, tanto da condividere con montagne di libri il suo piccolo appartamento vicino ai Drassanes, gli antichi cantieri navali di Barcellona, Méndez è un poliziotto indimenticabile e insospettabilmente sentimentale dietro una dura scorza di cinismo.
Per raccontare le sue indagini, inutile dirlo, l’energica, chiara ed efficacissima scrittura di Ledesma ha ampiamente attinto non solo all’enorme mestiere maturato quando era un anonimo macina-storie, ma anche all’esperienza di giornalista per nulla incline ai compromessi e abituato a ficcare il naso dietro le quinte del potere: un potere impietosamente dissezionato e messo alla berlina in ogni pagina della serie Méndez, inscrivibile in una sorta di hard boiled mediterraneo che, proprio come Historia de mis calles, è anche lo specchio di sessant’anni di storia spagnola e catalana, del cambiamento profondo di una società, dell’evoluzione di costumi e malcostumi.

Soprattutto, è il ritratto di una città e dei suoi tanti, diversi volti: la Barcellona ribelle e proletaria devastata dalla guerra civile e da un tragico e grigio dopoguerra, quando il franchismo cercò di piegarla definitivamente e di cancellarne la lingua e la cultura; la Barcellona pre-olimpica con le sue stradine sudice, i suoi bar, la sua gente povera e solidale, il suo popolo notturno di emarginati, di cui Ledesma non smise mai di aver nostalgia; la rampante Barcellona post-franchista, città d’affari e di speculazioni ma anche insolito crogiolo intellettuale; la Barcellona dei nostri giorni, oppressa da un devastante turismo di massa ma decisa a non farsi impunemente sopraffare…

Ed è proprio Barcellona, in realtà, la vera, amatissima protagonista dei libri di Ledesma, amata, odiata, rimproverata, rimpianta…una città di cui pochi hanno saputo raccontare come lui le ombre e le luci, e che in questi giorni lo ha salutato con enorme affetto.

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