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Il Poletti della discordia

Il Poletti della discordiaGianni Cuperlo e Matteo Renzi – Foto luigi mistrulli-sintesi visiva

Democrack La sinistra va verso il ’little bang’, Cuperlo convoca l’area, molti i no. Il ticket Serracchiani- Guerini a vicesegretari, ma ancora non arriva la nuova squadra. Orfini: noi in segreteria? Non è aria

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 26 marzo 2014

«Renzi deve capire che l’Italicum è stato un unicum. Se anche sul decreto Poletti la linea è cercare una prova di forza perché il testo non può essere cambiato, lo faccia. Ma si dovrà prendere la responsabilità di mettere la fiducia, se vuole evitare di farlo approvare con il soccorso nero, o azzurro, di Forza italia». Per Matteo Orfini, sinistra Pd di osservanza turca, il decreto Poletti «così com’è è irricevibile». E la speranza di discuterne davvero alla direzione di venerdì è una pia illusione. C’è tanta roba all’ordine del giorno. La convocazione recita: «Riforme costituzionali, misure economiche del governo, campagna elettorale per le europee e le amministrative».

In più alla voce «varie ed eventuali» c’è, anche se non si vede, la nomina di un ticket: Debora Serracchiani-Lorenzo Guerini, probabili vicesegretari, la prima proiettata all’esterno, l’altro ai delicati affari interni del Pd. Il riempimento delle quattro caselle vuote della segreteria lasciate dai quattro migrati al governo, andrà più avanti. Come più avanti si discuterà di lavoro, a Montecitorio (ieri il decreto è arrivato in commissione) e nei gruppi. Dove le posizioni contrarie della sinistra (all’allargamento della precarietà, da Fassina a Damiano passando appunto per turchi e bersaniani) sono note da giorni. Renzi, è il ragionamento di Orfini, ma non solo suo, non può chiedere una nuova prova d’amore ai parlamentari Pd, come ha fatto sulla legge elettorale – che alla fine è passata alla camera in prima lettura, ma con ampia previsione di modifica al senato – «stavolta dovremmo chiedere una prova d’amore a milioni di persone a cui peggiorerebbero le condizioni di lavoro, e di vita», conclude Orfini.

Renzi in questi giorni è totalmente preso dal fronte internazionale e dalla visita di Barak Obama (si vedranno domani pomeriggio a Villa Madama). Ma sui prossimi passaggi parlamentari (decreto Poletti in primis) è ottimista. Anche perché è convinto di poter coinvolgere nella «gestione unitaria» del Pd la minoranza, Che per adesso, però, rulla tamburi di guerra. Orfini, che è l’ala sinistra del Pd più dialogante, è scettico, e parecchio: «La proposta non è nostra, è sua. Ed anche la responsabilità è sua: dopo il trasferimento armi e bagagli di buona parte del nuovo gruppo dirigente al governo, cosa vuole fare del Pd? La gestione unitaria si fa solo a partire da un confronto di merito sull’azione del governo. Che però non c’è. Anzi l’hardware del Pd fin qui è tutto impegnato a blindare la maggioranza. Quindi, per me e per ora, il tema non si pone. Se tutto si risolve nell’essere chiamati a fare gli spettatori di un film, meglio andare al cinema». E invece quelli dell’hardware renziano sono sicuri di avere ricevuto un ok di massima: almeno da Gianni Cuperlo.

E qui però casca la sinistra Pd, anzi frana. Domenica mattina proprio Cuperlo ha convocato per il 12 aprile, all’auletta dei gruppi parlamentari, una giornata di riflessione «su come una sinistra ripensata e un riformismo radicale possono stare dentro un nuovo inizio. E dove si decide in che modo e con che struttura organizzare il dopo». Ma l’incontro, lanciato in solitaria, per giunta da facebook, non convince gli ex cuperliani.

E il ’little bang’ della sinistra interna rischia di sgonfiarsi: i turchi, che già da tempo non si fanno rappresentare da Cuperlo, hanno già fatto sapere che, per lo più, non ci saranno. L’area Chiti-Folena ci sarà, lo ha deciso ieri. I bersaniani invece ci stanno pensando. Guglielmo Epifani ha lanciato l’idea di «un’area socialista-democratica e riformista», che potrebbe coincidere con la proposta Cuperlo: ma alcuni pensano che la guida di questa nuova (si fa per dire) area dovrebbe cambiare marcia. E guardano a Roberto Speranza (che ha un buon rapporto con Renzi, che lo chiama ’Bob Hope’). Altri frenano, perché è il presidente dei deputati, quindi ha un ruolo istituzionale; e poi è quello che materialmente ha ritirato gli emendamenti all’Italicum, gesto non proprio smagliante per un aspirante leader dell’opposizione interna. Stefano Fassina, bersaniano che però gioca da libero, sull’Unità ha accettato l’invito del 12. Con questa formula: «Ogni discussione è utile, ma serve una netta discontinuità rispetto a quello che è successo fino all’8 dicembre».
Se non fosse che «discontinuità» è stata la parola con cui la sinistra stessa (tutta, a partire da Cuperlo), in quel brutto 13 febbraio, ha dato il benservito a Enrico Letta.

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