Istituzione antica, quella del poeta laureato in Inghilterra. Già Riccardo Cuordileone aveva al seguito un versificator regis, un «versificatore del re», e Geoffrey Chaucer, autore dei Canterbury Tales, veniva definito «poeta laureato» perché nel 1389 gli era stato assegnato un approvvigionamento annuale di vino. Ma l’incarico divenne istituzionale solo nel 1668, quando fu attribuito a John Dryden con una patente ufficiale. Da allora i poeti laureati inglesi si sono susseguiti: nell’elenco, nomi celebri, da William Wordsworth a Alfred Tennyson, e figure secondarie come Colley Cibber o Alfred Austin, la cui fama è sfumata nel tempo.
Sono invece ancora letti i versi (e pure i libri per l’infanzia) di John Masefield, poet laureate dal 1930 al 1967, cui è toccato in sorte di scrivere una poesia per la morte del re Giorgio VI, padre di Elisabetta: «Saggezza che, con potere infinito,/pronunci morte per ogni creatura/dacci la grazia della Tua luce/e conforto al lutto delle care Regine». In realtà la carica non impone di produrre versi d’occasione, ma è raro che un poeta laureato si sottragga al compito. Non lo ha fatto Simon Armitage (noto in Italia grazie alle traduzioni di Luca Guerneri e di Massimo Bocchiola) che, insignito nel 2019 da Elisabetta, la ricorda oggi – riferisce sul Guardian Lucy Knight – con una poesia intitolata Floral Tribute, da cui estraiamo tre versi: «Ho evocato un giglio per dare luce a queste ore, pegno di grazie, / aree e aureole di luce soffusa intorno ai globi brillanti. / Promessa fatta e mantenuta a vita – questo il tuo dono».

La regina avrebbe apprezzato? Non lo sappiamo e non lo avremmo saputo neanche quando Elisabetta era viva, ricordando quanto ogni sua parola esprimesse – più dei gusti personali – l’adesione alla corona («promessa fatta e mantenuta a vita»). Ma qualcosa sui rapporti tra la regina e la poesia lo rivela Andrew Motion, un predecessore di Armitage (con lui, tra gli altri, Cecil Day-Lewis, Ted Hughes, Carol Ann Duffy: scelte diverse ma che dimostrano sicurezza di gusto, se non della sovrana, dei suoi consiglieri), poeta laureato dal 1999 al 2009, in un ricordo sul Times Literary Supplement.
Rievocando il loro primo incontro (in effetti il secondo: Motion l’aveva vista da bambino passare in una macchina «che pareva l’incrocio di un carro funebre e di un carro armato»), il poeta scrive: «Ho detto che volevo fare il possibile per incoraggiare la lettura e la scrittura della poesia a scuola. La reazione è parsa positiva, ma ha insistito più volte: ‘Lei non è obbligato a fare nulla’. Le ho detto che anzi, mi sarebbe piaciuto… e ho aggiunto che sapevo quanto la sua famiglia avesse apprezzato il mio predecessore, Ted Hughes. ‘Oh sì’, ha risposto la regina, più fredda di quanto mi aspettassi, ‘mia madre gli era molto affezionata’. Ho avuto la netta impressione che non le sarebbe dispiaciuto avere un poeta laureato attento alla sua vita e ai suoi tempi, sebbene abbia continuato a ripetere che non leggeva poesie, perché c’erano sempre tanti documenti di stato sul suo tavolo».

È diventato, questo, il leitmotiv dei successivi incontri di Elisabetta con il poeta laureato, in occasione della medaglia assegnata ogni anno a un autore segnalato da Motion: «E io ogni volta ribattevo che, avendo letto almeno un libro del poeta che stava per incontrare, probabilmente in un anno aveva letto più versi della maggior parte dei suoi sudditi. E ogni volta l’idea sembrava divertirla».
Ma «morto il re, viva il re», e idem per i poeti laureati: «Allo scadere dei dieci anni (durata della carica a partire dal 1999, ndr) mi ha regalato una foto autografata di lei e del principe Filippo, che non avevo mai conosciuto. Da allora non abbiamo più avuto contatti».