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Il pluralismo che disturba il sottosegretario

Il pluralismo che disturba il sottosegretarioIl sottosegretario Vito Crimi – LaPresse

Editoria Il sottosegretario con delega all’editoria sembra avere un’ossessione, neppure troppo magnifica. È il «fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione». Nella seconda puntata dell’audizione presso la commissione cultura della camera […]

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 8 agosto 2018

Il sottosegretario con delega all’editoria sembra avere un’ossessione, neppure troppo magnifica. È il «fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione».

Nella seconda puntata dell’audizione presso la commissione cultura della camera dei deputati Crimi è tornato, infatti, sul tema-tormentone. Con l’insistita sottolineatura del peso eccessivo che un pugno di testate nazionali avrebbe sul monte generale delle risorse pubbliche. Una concentrazione, in altre parole. È noto, infatti, che «il manifesto» o «l’Avvenire» sono trust terribili e potenti. Perché mai il cortese sottosegretario insiste su una questione discussa e levigata in anni di dibattito e conflitto, durante i quali il vecchio finanziamento pubblico è già stato ampiamente rivisto e moralizzato? Si può fare di più e meglio. Ma è la priorità? Certamente è utile rifletterci, ma senza forzature e scorciatoie, visto che i veri trust dominano il mercato e non vedono l’ora di accaparrarsi qualche copia liberata dalla morte di un po’ di testate libere e indipendenti. Si chiama censura. Fuori dai gangli del potere economico e pubblicitario non è possibile vivere? Vogliamo che l’Italia scenda ulteriormente nella graduatoria sulla libertà dei e nei media?

In fondo, lo stesso Crimi si è dato la risposta, nel momento in cui ha proposto incontri e tavoli di lavoro sui problemi del giornalismo in trasformazione e del diritto d’autore, nonché sul complesso dell’editoria. Lì stanno le priorità e solo aggredendo le grandi contraddizioni dell’età digitale si è in grado di affrontare seriamente i rischi di sopravvivenza concreta che vivono i giornali fuori dal giro. Ugualmente, è importante toccare senza improvvisazione o demagogia l’annosissimo capitolo dell’ordine dei giornalisti.

Insomma, il «fondo del pluralismo» non è una sineddoche, non è la parte che illumina e comprende il tutto. È solo una tessera di un mosaico complesso, che riguarda la trama nervosa della democrazia. Guai, dunque, ad isolarlo come se si trattasse del finanziamento dei partiti, degli sprechi o dei costi della politica. Grazie alle norme in vigore, aggiornabili ma tutt’altro che innocue, quello che vuole Crimi già esiste. O si evoca altro, e non lo si dice ancora? Non è credibile uno scenario solo pessimista, data la buona disponibilità al dialogo mostrata dal sottosegretario. Almeno, così si spera. Ma noi, allievi di Cesare Zavattini, ci ostiniamo a pensare bene. E buongiorno vuol dire buongiorno.

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