Tra siccità, sfiducia e alluvioni l’Italia cresce a luglio, il potere d’acquisto cala e le previsioni economiche sono inquietanti per il 2023. Questa è l’immagine dell’Italia a fine luglio 2022 data ieri da un’altra mitragliata di dati dell’Istat e dell’Eurostat. Come la Francia e la Spagna, tutti paesi con un’economia turistica forte, anche da noi l’economia è cresciuta negli ultimi tre mesi da aprile a giugno dell’1%. Sull’anno il prodotto interno lordo (Pil) acquisito dovrebbe essere del +3,4%, superiore al +2,6% già stimato (tendenziale al 4,6%). Ieri dal ministero dell’economia si sentiva una certa soddisfazione che, nella sguaiata campagna elettorale sul bagnasciuga, è stata accolta da una sinfonia di sospiri. «Il recupero dalla crisi causata dalla pandemia può dirsi completato, giacché il Pil nel secondo trimestre è risultato nettamente superiore al livello medio del 2019». «È ora necessario continuare a sostenere il potere d’acquisto delle famiglie, nonché proseguire nell’opera di attuazione del Pnrr».

BISOGNA diffidare dell’entusiasmo dei tecnocrati. L’economia è una scienza triste e prospettica. La recessione «tecnica» negli Usa di cui abbiamo scritto ieri su Il Manifesto dice molto di più di cosa sarà domani anche in Europa. E in Italia. Basta dare un’occhiata agli altri dati in un’economia sovranazionale interconnessa per capire che vanno presi con grande cautela. Nella policrisi capitalistica le economie soffrono di due effetti che offuscano la visione: l’inflazione e gli effetti palpabili della crisi sanitaria. Questo spiega in parte l’andamento a yo-yo che vedrà l’Italia passare da prima della classe della crescita oggi a ultima della classifica nel 2023. Il primo dato è quello della Germania in stallo dove il Pil di marzo-giugno è allo 0%. È un avvertimento alla manifattura e ai servizi italiani, dipendenti dalla «locomotiva d’Europa». Se si fermano loro, si fermano gli altri.

INFLAZIONE. L’Istat ha ribadito ieri che c’è stata una forte accelerazione dei prezzi del «carrello della spesa»: +9,1%, un aumento che non si osservava da settembre 1984. Non ci sono solo i beni energetici che aumentano, ma quelli alimentari, per la cura della casa e della persona (da +8,2% a +9,1%). L’inflazione acquisita per il 2022 sfiora il 6,7% (5,7%). Quella tendenziale è ripiegata di un decimo di punto dal record di giugno (+8,0%) a +7,9%. In Europa è al 8,9%. Al di là delle variazioni statistiche si tratta di un «massacro» per le tasche dei consumatori, ha detto ieri il Codacons. Ciò comporterebbe una maggiore spesa pari a +2.427 euro annui per la famiglia «tipo», che raggiungerebbero +3.152 euro annui per un nucleo con due figli.

IL 27 LUGLIO l’Istat ha registrato una controtendenza sulla fiducia dei consumatori che ha raggiunto il minimo da maggio 2020. C’è una logica in questa osservazione. La politica del governo Draghi è stata quella di lasciare che i salari perdano valore reale davanti all’aumento dei prezzi. Al di là della dissennata politica dei bonus, cifra del Draghismo (e del precedente «Contismo») spacciati per «politiche sociali», ricordiamo il dato sul rinnovo dei contratti nazionali dei dipendenti. Questa è una misura più attendibile che attesta la drastica perdita del potere di acquisto. Per l’Istat ci sono 6,4 milioni di lavoratori che, a fine giugno, avevano il contratto scaduto: il 51,6% del totale. Solo nel privato i dipendenti senza contratto sono il 37,2%. Nella scuola c’è più di un milione di lavoratori senza contratto da più di tre anni. L’irresponsabilità del ministero dell’Economia, e del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, ha impedito il rinnovo. È la dimostrazione della chiara volontà di non affrontare il problema. Rimedi omeopatici come la «decontribuzione», annunciata nel «Decreto aiuti bis», e non ancora dettagliata, non sembrano essere in grado di modificare questa dinamica. Il colmo è che il governo postumo pensa di contrastarla con una misura che durerebbe fino a dicembre 2022.

LA VERITÀ di ciò che ci aspetta è stata detta sia la Commissione Europea che dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Indipendentemente dal fatto che Putin tagli il suo gas è stato già previsto, per il 2023, un crollo del Pil: nel primo caso allo 0,9%, nel secondo caso allo 0,7%. L’Italia crescerà meno di tutti l’anno prossimo. Il crollo porterà a un’altra frenata dei consumi, l’inflazione potrebbe persistere, e ci sarà l’aumento dei costi di finanziamento del debito aggravato dalla fine della politica monetaria espansiva della Bce. L’Fmi, il 26 luglio, ha evidenziato il ruolo che avrà la nuova politica post-Draghi di Francoforte. «Una stretta avrà inevitabilmente costi economici reali ma ritardati». «Un’azione avrebbe come conseguenza solo quella di esacerbarli». «L’incertezza resta elevata per i prossimi trimestri: bisogna restare uniti ed essere pronti a rispondere ad una situazione in evoluzione, se necessario» ha commentato ieri il commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni. Uno potrebbe a questo punto chiedere: ma perché lo fanno se conoscono già i risultati?