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Il picchetto e la dignità

Il picchetto e la dignità

Lavoro La rottura di quel nesso lascia oggi tanto i componenti del picchetto davanti ai cancelli del centro logistico Lidl di Biandrade, quanto i loro «poveri» nemici, senza alcun riferimento politico

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 23 giugno 2021

Adil Belakhdim, lavoratore sindacalizzato, è stato ucciso giovedì mattina a Novara mentre partecipava ad una delle forme di lotta più antiche nella tradizione dell’unionismo operaio: il picchettaggio. Il suo uccisore era mosso dalla logica stringente della trasformazione del tempo in denaro, che nel caso di autisti salariati, ma anche di padroncini, può essere questione di vita o di morte. In tale contesto il picchetto si ergeva come oggetto realmente nemico.

Da rimuovere anche con la forza: o della polizia di Stato, o di squadre appositamente assoldate, o con quella di un Tir. Ormai da lungo tempo ci siamo assuefatti al frequente utilizzo di tutti questi strumenti nel corso di conflitti di lavoro operaio. Vengono considerati fatti marginali rispetto alla buona e civile normalità della dinamica sindacale della nostra società avanzata, e soprattutto moderna. Ed invece si tratta di aspetti del tutto normali nella lunga vicenda del conflitto sociale. La loro maggiore evidenza in alcune fasi storiche è indicatore dei rapporti di forza esistenti tra le parti in conflitto. Nell’epoca del «capitale totale» è indicatore di una capacità di dominio pressoché assoluta.

La guerra, e guerra vera, tra le differenti figure sociali dei subalterni è sempre stata componente fondamentale dell’insieme complesso della «warfare» (Warren Buffett, 2006) che, in modi diversi, acccompagna tutte le trasformazioni più profonde dei mutamenti strutturali e dei rapporti di forza tra le classi che ne derivano,
Siccome il mutamento non si svolge nel tempo secondo criteri di uniforme linearità, siccome diverse temporalità possono essere presenti nello stesso momento storico, in quello stesso momento possono coesistere forme di lotta di classe considerate tipiche del passato e forme tipiche del presente. Di fatto, diventano tutte forme della warfare del presente.

Le stesse motivazioni iniziali, che porteranno poi alla fondazione della I Internazionale, muovono dalla necessità pratica di contrastare la «guerra tra poveri», quella che si manifestava tramite esportazione/importazione del crumiraggio. È per discutere tale problema che Trade Unions e organizzazioni operaie francesi decidono d’incontrarsi a Londra. Poi, con l’invito delle Trade Unions a Karl Marx di partecipare agli incontri, la questione della «guerra tra poveri» sarà inserita in un contesto di elaborazioni teorico-politiche che, seppure attraverso molte contraddizioni, accompagnerà la storia del movimento operaio per più di un secolo e mezzo.

Al centro la consapevolezza che ogni lotta sociale è nel contempo anche lotta politica. Le logiche della resistenza e le logiche di una politica connaturata al progetto generale dell’emancipazione dei subalterni, non possono prescindere da un necessario nesso interno, anche se declinabile in modi diversi a seconda dei contesti.

La rottura di quel nesso lascia oggi tanto i componenti del picchetto davanti ai cancelli del centro logistico Lidl di Biandrade, quanto i loro «poveri» nemici, senza alcun riferimento politico. I primi, da soli, ripercorrono, in una realtà nuova e complessivamente ostile, i sentieri delle unioni del lavoro. I secondi, hanno ormai interiorizzato, in assenza di qualsiasi risposta alla «questione sociale» dei nostri tempi, lo spirito dominante del mors tua vita mea nei confronti di vittime dello stesso sistema di sfruttamento collocate in ambito differente.

Quando, a fine secolo, il mutamento mondiale del ciclo di accumulazione ha reso più facile l’offensiva padronale contro teoria e pratica del nesso interno, coloro che avrebbero dovuto essere gli eredi del ricordato secolo e mezzo di storia, non hanno opposto resistenza alcuna: il partito politico, in primis, ma anche, per molti aspetti, il sindacato.

Così, in tutta coerenza con la resa di fine secolo, il cosiddetto «nuovo avvio» dei non-eredi si è concretizzato nella costruzione di un partito il cui ispiratore e primo segretario ha posto le fondamenta nell’assioma secondo il quale «la lotta di classe non esiste più».

È difficile chiedere a questi non-eredi, che, sempre in tutta coerenza, oggi rivendicano come loro il programma economico del tutto neoliberista di Draghi, un programma destinato ad acuire la guerra tra poveri, di capire il significato di quanto sta accadendo sotto i loro occhi.

Magari ci accontenteremmo anche dell’accenno a qualche senso di colpa, ma non avremo neppure quello. Il loro universo politico-culturale è completamento estraneo al mondo delle ragioni per cui chi si rifiuta di vivere in condizioni che negano la dignità dell’uomo, rischia la vita in un picchetto. Il picchetto, simbolo vivente di un limite posto dai bisogni umani contro l’illimitatezza della logica del capitale.

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