Il pianoforte di Fats Domino, un’iniezione di furia nel rock
Lutti È morto a 89 anni il cantante di «Blueberry Hill», «Ain’t that a Shame» o «I’m Walkin’»
Lutti È morto a 89 anni il cantante di «Blueberry Hill», «Ain’t that a Shame» o «I’m Walkin’»
Se ne è andato a 89 anni Fats Domino, il cantante di Blueberry Hill, Ain’t that a Shame o I’m Walkin’. È stato non solo uno dei grandi pionieri e architetti del rock’n’roll ma anche uno dei primi artisti neri a comparire in tv negli Usa al fianco di Buddy Holly o Beverly Brothers.
Era nato e cresciuto a New Orleans e si sentiva. Agli albori del rock’n’roll, il suo rhythm and blues e boogie woogie così effervescenti, tipici della città, erano stati un’iniezione di furia dimostrando che il pianoforte, il suo strumento, avrebbe avuto un ruolo essenziale nel nuovo genere.
Le sue canzoni si sentivano ovunque, affollavano i jukebox e finivano in classifica, meno di Elvis ma più di Little Richard, Jerry Lewis o Chuck Berry insieme. Anche per questo è stato uno dei primi ad essere ammesso alla Rock and Roll Hall of Fame nel 1968 così come la sua versione di Blueberry Hill è diventato uno dei dischi preservati alla Library of Congress.
Tra i suoi tratti distintivi c’è sempre stata quella voce delicata da baritono, il fisico corpulento – da qui il nomignolo Fats – e il modo di «pestare» il piano. Non solo: chi lo ha visto dal vivo ricorda come sapeva davvero travolgere il pubblico, spesso suonava stando in piedi, poi si tuffava sullo strumento, sempre andando a tempo, trascinandolo in lungo e in largo per il palco. Irresistibile e così interno alla tradizione del vaudeville Usa.
Fats Domino aveva vissuto a New Orleans tutta la vita, ed era lì anche nei giorni dell’uragano Katrina, nel 2005, quando i soccorritori dovettero salvare lui e la sua famiglia con una barca. In quell’occasione perse la casa e tutto quello che c’era dentro, inclusi tre splendidi pianoforti e una quantità enorme di memorabilia. Due anni dopo sarebbe però tornato dal vivo nella sua città, al club Tipitina, di fronte a un pubblico scatenato.
Antoine Domino Jr. era cresciuto in una famiglia di nove figli, influenzato dal padre violista e da una serie di musicisti – Fats Waller e Albert Ammons su tutti – che avrebbero contribuito ad informare il suo stile pianistico, ragtime, blues e boogie-woogie.
A quattordici anni aveva lasciato la scuola ed era finito in fabbrica. Lavorava di giorno e si esibiva di notte e così fino al 1949 quando uscì il suo primo singolo The Fat Man in cui cantava «peso 90 kg ma le ragazze mi amano», e così fino al 1955 quando Ain’t that a Shame sbancò le classifiche bianche del pop, rieseguita anche – in maniera edulcorata e anestetizzata – da Pat Boone. Con Dave Bartholomew, arrangiatore, produttore, sempre al suo fianco, Domino era in grado di appropriarsi di pezzi provenienti da generi così diversi – country, folk – e trasformarli in brani che sembravano essere sempre appartenuti al suo repertorio.
Era un artista profondamente internazionale, entrato nel tempo nelle stanze di mezzo mondo. Al punto che in Giamaica i suoi ritmi saltellanti vengono spesso associati all’evoluzione dello ska. Anche i ragazzi inglesi lo adoravano; i Beatles vollero incontrarlo e Ain’t that a Shame fu il primo pezzo che John Lennon imparò a suonare e che Paul McCartney avrebbe spesso eseguito dal vivo. Sempre i Beatles vollero omaggiarlo nel ritmo «alla Domino» di Lady Madonna. Anche per Elton John era un eroe e così per Billy Joel che ammettendolo alla Rock and Roll Fame confermò: «È la persona che ha dimostrato che il pianoforte è uno strumento rock». Nient’altro da aggiungere.
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