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Il pianista scintillante

Il pianista scintillanteLuis Bacalov

Luis Bacalov/La sua straordinaria tecnica ha attraversato generi e stili Non solo prestigiose colonne sonore da Oscar, ma vivide incursioni nella classica, nel pop e nel rock più complesso

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 25 novembre 2017

C’è stato un grande laboratorio d’innovazione della musica italiana, negli anni Sessanta, in un palazzone lungo al dodicesimo chilometro della via Tiburtina, la sede della Rca, coi suoi due studi di registrazione dove potevi trovare a fare i turnisti l’americano Bill Conti e l’argentino Gato Barbieri e ti confrontavi con arrangiatori come Ennio Morricone e autori come Franco Migliacci e Sergio Bardotti. In quel cenacolo d’artisti è maturato un musicista di Buenos Aires d’origini ebraico-bulgare, nato nel 1933, trasferitosi prima a Parigi e poi a Roma, Luis Enrique Bacalov. Aveva incominciato suonando il pianoforte nei night club della Ville Lumiere ed era poi passato ad accompagnare Claudio Villa nelle sue esibizioni.

«Da ragazzino – ha raccontato in diverse interviste – vivevo a Buenos Aires, all’epoca una città davvero interessante dal punto di vista culturale. Ho sentito grandi solisti e direttori di orchestra, mi sono nutrito bene… Ma in America latina rispetto all’Europa non si fa differenza tra musiche. Se si studia Beethoven o Chopin non è che non si fa folklore e jazz. In Europa la tendenza è a chiudersi: si guarda con imbarazzo se non disprezzo ciò che non è grande musica occidentale. Eppure praticare gli altri generi è un ottimo allenamento, è un bagno di flessibilità e di rigore».

L’ARTE DI ARRANGIARE

In Italia fa l’arrangiatore di canzoni, compone colonne sonore per il cinema e adotta lo pseudonimo di Luis Enriquez aggiungendo una z al suo secondo nome, riservandosi il cognome vero, Bacalov, per la composizione di musica più complessa. È un periodo di grande creatività e di vita collettiva, tutti insieme dal campo di calcio della Rca alle cene tra Mentana e Tor Lupara, con musicisti, compositori e tecnici. Il suo primo grande successo è Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco – un milione di 45 giri venduti – nel 1961 ma lavora per Rita Pavone (La partita di pallone, Cuore, Il ballo del mattone, Che m’importa del mondo e Questo nostro amore), Umberto Bindi (Un ricordo d’amore, Il mio mondo), Neil Sedaka (La terza luna, I tuoi capricci, L’ultimo appuntamento), Gianni Morandi (Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte, Se non avessi più te, La fisarmonica) grazie anche alla collaborazione con Bruno Zambrini, un altro dei grandi autori della scuderia Rca. Il sodalizio più stretto è quello con Sergio Endrigo, durato quasi vent’anni, testimoniato da canzoni come Io che amo solo te, Se le cose stanno così, Canzone per te, Lontano dagli occhi. Anche se Bacalov ricorderà spesso come suo arrangiamento più significativo Ho visto un re di Enzo Jannacci («seppur in maniera molto semplificata, è una rivisitazione di un certo modo di scrivere tipico di Stravinsky»).

Si lascia anche trascinare nell’epopea del progressive italiano, scrivendo con i New Trolls nel 1971 Concerto grosso e nel 1976 Concerto grosso n. 2 (dei quali ci parla Guido Festinese nella pagina accanto), con partiture in cui, alla maniera del concerto grosso barocco, la band dialoga con l’orchestra sinfonica. E aveva già aiutato gli Osanna (Preludio, tema, variazioni, canzona, 1972) e Il Rovescio della Medaglia (Contaminazione, 1973). In quello stesso periodo lavora anche alle colonne sonore, raggiungendo subito il successo con La noia, 1963, tratta dal romanzo di Moravia, per la regia di Damiano Damiani. Seguiranno Il Vangelo secondo Matteo (1964), Django e Quién sabe? (1966), A ciascuno il suo (1967), L’amica (1969), Cuori solitari (1970), Milano Calibro 9 (1972). Tante collaborazioni importanti, La città delle donne di Fellini (1980) e Ars Amandi di Borowczyk, La congiuntura di Scola e A ciascuno il suo di Elio Petri. Quentin Tarantino ha riutilizzato in Kill Bill 1 alcuni estratti di un suo tema dallo spaghetti-western Il grande duello. Così come in Django Unchained ha ripreso la stessa Django o Lo chiamavano King, dall’omonimo film del 1971 di Giancarlo Romitelli.

Musica popolare, colorata, vivace con echi delle composizioni classiche ma pure del suo lavoro di arrangiatore (con fischi, scacciapensieri, campanelle e tutti gli altri effetti sonori usati nei western).

TANGO

Bacalov è stato un pianista scintillante, dotato di musicalità e tecnica straordinaria, ben rappresentate nel suo lavoro, La meravigliosa avventura di Carlos Gardel, un cd pubblicato per il manifesto nel 2004, grazie alla lunga amicizia con Valentino Parlato, dove torna alle sue origini, ai suoi amori giovanili. «Mio padre ascoltava il tango alla radio. E cantava. Inconsapevolmente mi sono imbevuto di quei ritmi. Per un po’ non li ho frequentati, ma ora riaffiorano nella mia produzione. Ma a lungo il tango è stato considerato solo come qualcosa di folkloristico, non degno dei grandi compositori. Non escludo che questa mentalità abbia influenzato anche me. A 40 anni ho deciso che dovevo conoscere tutto del tango». E si misura con i grandi classici, da Mi Buenos Aires Querido a La Cumparsita, da Volver a Milonga sentimental, con una incredibile dolcezza e quel sottile, lontano spaesamento. Nel 1996 Bacalov ha vinto il premio Oscar per la colonna sonora de Il postino, l’ultimo film di Massimo Troisi, e ha dovuto poi affrontare una lunga causa per plagio intentatagli da Endrigo che ha ravvisato forti somiglianze col brano Nelle mie notti, scritto e inciso da Sergio nel 1974, il brutto finale di una lunga amicizia, conclusasi con un beau geste di Bacalov, che gli ha riconosciuto una partecipazione tra gli autori della soundtrack premiata (e quindi alle royalties). Da allora ha spaziato ancora di più nella composizione di musica sinfonica, cameristica e corale. «L’Oscar ha fatto sì che abbiano ripreso a chiamarmi e a commissionarmi musiche dagli Stati Uniti, dalla Francia; in Italia sono si sono interessati nuovamente a Bacalov, hanno preso a offrirmi dei concerti come pianista. Io non suonavo più in pubblico da tempo e all’inizio mi sono rifiutato ma le richieste erano pressanti e allora mi sono detto: perché no? Dopo ho cominciato a dirigere musica al di fuori dell’ambito cinematografico, sempre di più».

Tra le opere più appassionanti uno Stabat Mater (rappresentato al Teatro dell’Opera di Roma nel 2004 e di cui parliamo a pagina 14 in un’intervista firmata allora da Valentino Parlato) dove le sofferenze evocate da Jacopone da Todi si fondono con quelle delle Madri di Plaza de Mayo, opera molto legata alla tradizione del tango argentino e una Misa Tango per soli, coro e orchestra, coi classici tempi della Messa cantata, «seguendo liberamente la scansione dei cinque momenti della messa, ho voluto realizzare una sorta di partitura ecumenica, capace di parlare a tutte le religioni».

Eclettico, brillante, originale, Luis Bacalov ha avuto una grande carriera, troncata improvvisamente lo scorso 15 novembre. Adesso potrà riprendere a conversare con Valentino, lassù tra le nuvole.

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