Il perturbante disagio nella civiltà
Verità nascoste La rubrica a cura di Sarantis Thanopulos
Verità nascoste La rubrica a cura di Sarantis Thanopulos
Sarantis Thanopulos: «Caro Alberto, è da poco nelle librerie la bella riedizione da te curata, e dotata del testo in lingua originale, de Il disagio nella civiltà di Freud(Feltrinelli, pp. 276, 10 euro).
Un vero classico, sempre attuale e sempre profetico: capace di cogliere il presente con il senno di poi, con uno sguardo che viene dal futuro. Nel tempo presente, attuale, convivono e confliggono la trasformazione che, indissociabile dalla continuità/persistenza (il lavoro del lutto regola il loro rapporto), crea vita e la distruzione che crea inerzia.
La continuità fa permanere, vivere il passato, la trasformazione anticipa l’avvenire, come apertura già racchiusa nel suo evolvere, la distruzione dilata il presente, lo rende immobile. Non è un caso che all’inizio del libro Freud si sofferma sulla questione della permanenza del passato, usando la bellissima metafora di Roma “città eterna” (dove le tracce persistenti di ciò che ha vissuto lo conservano vivo nel nostro mondo interno, nonostante le sovrapposizioni successive degli edifici), e si interroga sulla continuità della vita psichica, per arrivare alla conclusione che in essa “la conservazione psichica sia la regola, più che la sconcertante eccezione”. La civiltà presume sempre, accanto all’evoluzione delle forme del vivere comune, la continuità della vita psichica individuale e collettiva che è fondata sulle relazioni erotiche. La distruzione della continuità distrugge la civiltà.
È qui che mi sento di collocare “il fattore molesto” che metti in evidenza nel tuo acuto commento del libro: l’onnipresenza dell’aggressività e della distruttività non erotiche. Originanti dalla necessità di rigettare ciò che può causare dispiacere e dolore: il proprio corpo, il mondo esterno e le relazioni con gli altri. Intravvedo l’opposizione tra desiderio che si nutre delle tensioni e del bisogno che le elimina».
Alberto Luchetti: «Caro Sarantis, davvero problematico questo Il disagio nella civiltà che – per usare le immagini di un filmato di quarant’anni fa – ci conduce con lo sguardo dalla nostra vita quotidiana (o dal divano e poltrona psicoanalitici) alla distanza spazio-temporale di miliardi di anni luce per ri-precipitarci nell’infinitamente piccolo degli Ångstrom dell’atomo. Freud inserisce infatti gli interrogativi sulla nostra condizione, passata presente e futura, sul nostro funzionamento e sulla nostra esistenza in cerca di “felicità”, nonché il lavoro psicoanalitico sul nostro malessere, nella cornice sempre più allargata delle società e delle civiltà, e sempre più profonda nel tempo della nostra storia individuale e collettiva, prossima e remota, e dell’evoluzione della nostra specie e dell’universo.
E perturbante, questo Disagio, perché in tale cornice Freud inquadra la nostra condizione peculiare di animali inestricabilmente linguistici e pulsionali, da cui fa discendere, suo malgrado, un “fattore molesto” inconciliabile. Quello di una equivalenza della sessualità pulsionale, che alimenta il nostro psichismo, e dell’autodistruttività, più originaria e potente di ogni tentativo di deviarla in eterodistruttività. Un’equivalenza in cui, più radicalmente ancora, trasformazione e distruzione, continuità e inerzia che tu menzioni in fondo convergono.
Pessimista, questo Disagio? Sì, perché sembra non solo constatarci inadatti alla cultura/civiltà che pure ci è essenziale, ma aggiungere anche quest’ultima a quella sconcertante equivalenza. No, perché affida umilmente alla relazione di corpi umani (come quella psicoanalitica con l’altro, trappola transferale per fantasmi e fabbrica del desiderio), l’impossibile ma indispensabile lavoro culturale di curarci della nostra sofferta e sofferente umanità, per custodire un qualche futuro per noi stessi e dunque per gli altri e per il nostro mondo, conditio sine qua non del nostro esserci ancora».
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