Il percorso speculativo di Simone Weil dentro la fucina del Novecento
Novecento francese In Leggere Simone Weil (Quodlibet) Giancarlo Gaeta rivisita la vicenda biografica dell’intellettuale francese, mettendo ordine in un pensiero ora mistico, ora filosofico, ora operaio
Novecento francese In Leggere Simone Weil (Quodlibet) Giancarlo Gaeta rivisita la vicenda biografica dell’intellettuale francese, mettendo ordine in un pensiero ora mistico, ora filosofico, ora operaio
«La critica alla modernità in effetti non si risolve nel suo caso in una presa di posizione intellettuale che ne farebbe un’antimoderna; deriva piuttosto da un senso di estraneità verso saperi e modalità espressive che avvertiva impermeabili alle questioni reali della propria epoca e perciò agli effettivi bisogni fisici e morali degli individui». Questo emblematico passaggio è tratto da Leggere Simone Weil (Quodlibet, pp. 320, € 22,00), che raccoglie e ordina una serie di interventi critici sulla pensatrice francese composti da Giancarlo Gaeta, uno dei suoi più raffinati esegeti italiani, curatore di parecchi lavori di traduzione, nonché dell’edizione integrale dei Quaderni, suddivisa in quattro volumi usciti tra 1982 e 1993 per Adelphi.
Gaeta, saggista e studioso di storia del cristianesimo antico, ripercorre le vicende biografiche della Weil, associandole alla sua opera variegata. Ne è scaturito un libro di indubbio fascino, elegante e rigoroso, che tenta di sistematizzare un processo speculativo che ha attraversato come una meteora le grandi crisi, non solo ideologiche, che hanno investito il «secolo breve», nonostante si tratti di «un pensiero estraneo per forma, contenuti e comprensività alle correnti dominanti nella cultura del Novecento». Il continuo richiamo al retaggio dei Greci si configura come una sorta di riscatto dalla dimensione solipsistica e angosciante in cui è irretito il modernismo, nel tentativo di recuperare, oltre a una comunicatività di taglio primigenio, anche «un senso in rapporto alla felicità per la quale l’uomo è fatto e di cui è privato dalle dure costrizioni di questo mondo», come scrisse la stessa Weil.
Gaeta privilegia l’aspetto filosofico, relegando in secondo piano quello letterario, anche se spesso è difficile discernere tra motivi che sono quasi complementari, considerato che per Simone Weil il compito primario della riflessione speculativa non può che essere «comunicazione indiretta della verità», «filosofia esclusivamente in atto e pratica». Tale dimensione «etica» erompe soprattutto dalla lezione di quella straordinaria fucina di impressioni e pensieri costituita dai Cahiers, a proposito dei quali osserva: «Scrivere per frammenti fu dunque per lei, in un passaggio decisivo della sua ricerca intellettuale, una necessità inerente alla specificità del suo pensiero filosofico, che le ha imposto di disporre gli oggetti della riflessione su piani molteplici legati tra loro per analogia, e di leggere ciascuno di essi da più punti di vista, senza nascondersi le contraddizioni, ritenute essenziali al pensiero umano».
Non si poteva non partire dal sodalizio con Simone Pétrement, amica e biografa della filosofa, all’epoca dell’insegnamento di Alain, indiscusso assertore del concetto di libertà che, accomunato a quello di verità, diverrà uno dei capisaldi della ricerca umana e filosofica dell’autrice di La Pesanteur et la grâce. Dall’insegnamento nei licei al sindacalismo passando attraverso un impegno ideologico di indiscussa matrice eretica, si arriverà alla fondamentale decisione, avversata da amici e conoscenti, di lavorare in fabbrica, al fine di capire (e carpire) la reale portata della Condition ouvrière, titolo fortemente voluto da Camus per contrassegnare la raccolta di scritti postumi pubblicata nel 1951 nella collana «Espoir», da lui diretta per Gallimard. Il libro fu tradotto l’anno successivo da Fortini per le Edizioni di Comunità di Adriano Olivetti che contribuiranno in maniera decisiva alla conoscenza nel nostro paese di un pensiero tra i più originali e articolati della modernità, stampando altri tre titoli dell’intellettuale francese.
Nonostante la condizione dell’operaio sia paragonata a quella di uno schiavo, per la Weil diventa un privilegio poter misurarsi con il lavoro manuale, benché fosse maldestra e di costituzione gracile, afflitta oltretutto da spaventose emicranie. Si consideri all’uopo l’aneddoto riguardante il fatto che volesse a tutti i costi un fucile in dotazione durante la sua permanenza nella colonna Durruti in cui confluivano le formazioni militari non regolamentari composte da anarchici e comunisti nella guerra civile spagnola. Intimoriti dal fatto che, alla forte miopia, si aggiungesse un’accentuata incapacità manuale, i suoi compagni, dopo mille discussioni, riuscirono a dissuaderla dall’imbracciare un’arma, convinti di aver salvato in tal modo qualche innocente.
Molto interessante è il capitolo che ricostruisce le vicissitudini editoriali di un’opera perlopiù pubblicata in forma postuma e frammentaria. La stessa autrice, poco prima di morire, aveva lasciato al domenicano Joseph-Marie Perrin e al filosofo di estrazione cattolica Gustave Thibon alcuni importanti quaderni mentre la famiglia si adoperò per pubblicare altri testi inediti e poco conosciuti, affidandoli a quell’estimatore d’eccezione che fu il summenzionato Camus. Il primo titolo fu L’Enracinement (1949), seguito da La Connaissance surnaturelle (’50), dalla citata Condition ouvrière (’51) e da Oppression et liberté (’55). Ma, sebbene questi lavori abbiano contribuito in modo determinante a rendere noto il pensiero della Weil, si tratta di testi che non hanno alcun presupposto scientifico, privi come sono di qualsiasi apparato critico o filologico. Alla stessa stregua vanno considerati i Cahiers editi da Plon tra 1951 e 1956 che, insieme alla Connaissance surnaturelle, in cui confluirono i «Quaderni d’America» e il «Taccuino di Londra», rappresentano per Gaeta edizioni «assai lacunose». Il fatto che sia Perrin sia Thibon preferissero pubblicare autonomamente gli scritti loro affidati, in cui molto forte è la riflessione sul versante mistico e religioso (si pensi anche al concetto di decreazione che investe «l’annullamento in Dio che dà alla creatura annullata la pienezza dell’essere»), non contribuì in maniera adeguata alla conoscenza globale di un’opera complessa e stratificata. In parte, è riuscita in questa impresa la pubblicazione da Gallimard, ancora in corso, delle Œuvres complètes: intrapresa nel 1988, è arrivata nel 2012 al VII tomo, per un totale di undici volumi.
Ma, al di là delle considerazioni di carattere bibliografico, che tuttavia hanno un rilievo basilare nell’opera della Weil, Gaeta si districa agevolmente nei meandri di un pensiero che cercò «fino ai suoi tentativi estremi di prefigurare un nuovo assetto sociale e politico per l’Europa del dopoguerra» (si veda la critica acerrima dei sistemi totalitari o l’attualissimo «Manifesto per la soppressione dei partiti politici»). Il rigore, l’intransigenza con cui vennero vissute tali istanze sul piano intellettuale, associati a una mancanza di dogmatismo e a un’umiltà davvero ragguardevoli, costituiscono un unicum nella storia del pensiero novecentesco, soprattutto per l’autonomia di giudizio che li sottende.
Si arriva così al travagliato periodo finale: l’avvicinamento a un cattolicesimo sui generis (il «punto al limitare della Chiesa» di cui parla la stessa Weil) che diede vita alle splendide pagine di Attente de Dieu e Lettre à un religieux, la fuga per sottrarsi alle leggi razziali con la famiglia, lo sbarco a New York e il successivo approdo a Londra. Si lascerà morire di inedia in un ospedale di Ashford, nel Kent, il 22 agosto 1943, all’età di 34 anni. Aveva scritto in una delle sue ultime lettere: «A parte ciò che mi può essere accordato di fare per il bene di altri esseri umani, per me personalmente la vita non ha altro senso, e in fondo non ha mai avuto altro senso, che il conseguimento della verità».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento