Gli anni che ci separano dalla scomparsa di Guido Picelli – ucciso in combattimento in Spagna – saranno ottantacinque il prossimo gennaio. Quest’estate sono trascorsi cento anni dalla nascita della prima organizzazione antifascista, gli Arditi del popolo, di cui Picelli fu tra i principali animatori a livello nazionale e leader indiscusso a Parma, tanto da essere ricordato, ancora prima della morte (che ha certamente contribuito alla sua mitizzazione), come l’eroe popolare artefice della débâcle subita dai fascisti di Italo Balbo, nei giorni dello «sciopero legalitario» nell’agosto del 1922 (le famose Barricate di Parma).
I saggi e gli interventi su Picelli (che dal 1921 al 1926 fu anche deputato socialista e, poi, comunista), tra letture agiografiche di segno difforme e opere più meditate, non mancano. Anzi, negli ultimi venti anni si è assistito a un discreto proliferare della letteratura sull’arditismo popolare e sul suo dirigente parmense. Un Picelli che, lungi dall’essere tolto dal piedistallo (che, peraltro e fuor di metafora, non ha mai avuto, dato che non esiste un monumento a lui dedicato), è stato interpretato poliedricamente a seconda della fase storica attraversata e dell’angolatura ideologica dell’osservatore-narratore. Un uso pubblico della sua figura – speculare, per restare a Parma, a quello agito da nazionalisti e fascisti nei confronti di Filippo Corridoni – che ha avuto l’effetto di trasformare l’uomo e i suoi ideali in un’icona di un generico antifascismo metastorico.

QUESTO TIPO di antifascismo, buono per tutte le stagioni, non è tuttavia quello della «sua divisa». E ciò lo si comprende leggendo il volume, attentamente curato da William Gambetta e con una prefazione di Andrea Bui, intitolato per l’appunto La mia divisa. Scritti e discorsi politici di Guido Picelli, pubblicato dalla Bfs di Pisa (pp. 158, euro 16), in collaborazione con il Centro studi movimenti di Parma e il Comitato Agosto 1922.
Gli scritti del combattente antifascista, accompagnati da un ottimo apparato critico-analitico, sono presentati in ordine cronologico: si tratta di relazioni, interventi, lettere, discorsi, ecc., che vanno dal 1919 al 1936 e che, finalmente, restituiscono la parola a un Guido Picelli più «autentico».
Nella sua introduzione, Gambetta ci fa capire quale fosse la reale divisa di Picelli e ci segnala altresì le forzature compiute dalle narrazioni interessate più a trovare conferme alle proprie tesi che a voler comprendere l’approccio picelliano alla battaglia antifascista e anticapitalista (per Picelli indissolubilmente saldate) e, più in generale, all’idea di «futura umanità» che egli aveva. Un orientamento, intendiamoci, che può anche essere ritenuto inattuale o, addirittura, erroneo – le due battaglie combattute da Picelli furono entrambe drammaticamente perse – ma che non fu certo polisemico.

COME OSSERVA il curatore del volume, Picelli è stato rappresentato variamente: campione del frontismo staliniano, comunista libertario, partigiano ante-litteram, precursore dell’Europa liberaldemocratica, difensore dei diritti civili, e chi più ne ha più ne metta. L’acribia filologica di questa raccolta di scritti ci restituisce invece il Picelli-pensiero nella sua genuinità: «una visione ideologica organica e coerente che, ovviamente, con il maturare di nuove esperienze e riflessioni, si è raffinata e precisata, senza tuttavia perdere l’impostazione profondamente radicale e antisistemica». Emerge dunque la netta opposizione di Picelli al fascismo in quanto brutale espressione di rapporti di potere di tipo capitalistico e la sua costante tensione alla liberazione sociale delle classi più umili, la quale poteva avvenire solo calcando le orme della Rivoluzione bolscevica: un atto di insubordinazione collettivo e violento, che andava preparato sia politicamente che militarmente. Questa divenne, come egli stesso scrisse nel 1936, la «sua divisa».

* Il volume verrà presentato a Parma domani alle 15:30, in piazzale Inzani, con una conversazione tra William Gambetta e Andrea Bui, intervallata da letture di Carlo Ferrari e dall’accompagnamento musicale di Francesco Pelosi.