Cultura

Il pensiero della differenza va capito

Il pensiero della differenza va capitoUna scultura di Kiki Smith

Femminismi Una lettera aperta di Luisa Muraro a Benedetta Selene Zorzi, autrice del libro «Al di là del 'genio femminile'»

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 8 ottobre 2014

Cara Benedetta Selene Zorzi, il presente è segnato da avvenimenti violenti e dolorosi. Sembra un lusso che io venga a ragionare con te su quello che è o non è il cosiddetto pensiero della differenza sessuale. Però, in quegli avvenimenti si tratta ancora e sempre del corpo delle donne, e non solo quando c’entrano donne in prima persona: anche quegli uomini che annegano miseramente o sono ferocemente uccisi, per venire al mondo hanno lasciato un corpo femminile che li ha albergati in amore e sicurezza.
Anni fa, alla Scuola estiva di Lecce, hai sostenuto la tua contrarietà al pensiero della differenza. Il frutto delle tue ricerche di allora è ora un libro, Al di là del ’genio femminile’ (Carocci), recensito da Paolo Ercolani su il manifesto del 4 ottobre in cui, tra altre cose, ribadisci quella tua posizione e affermi che il pensiero della differenza sarebbe incapace di superare la logica binaria che esclude la possibilità dell’«altro».
Protesto vivamente contro quest’affermazione. Il senso che c’è altro è nel patrimonio genetico del pensiero della differenza. Tu naturalmente puoi avere dei buoni motivi per pensare quello che pensi, ma l’argomento critico che porti è sbagliato e semina confusione.
Che cosa diresti, tu che sei teologa, a uno che rifiuta il cristianesimo perché sarebbe una religione politeista? Gli diresti che essere cristiano è nella sua libera scelta ma che la sua idea è sbagliata perché le tre persone divine non sono tre divinità. Forse, gli diresti anche che c’è un’autorevole tradizione che ha sempre visto nel cristianesimo una religione monoteista.
Il pensiero della differenza ha ispirato fin dagli inizi il movimento femminista della seconda ondata. Il femminismo americano, che aveva il dono della comunicazione energica, diceva: maschio occidentale bianco borghese di mezza età, ti credi l’uomo per eccellenza, guarda che ti sbagli, c’è altro, ci sono altri e altre, e te ne accorgerai.
Come pensiero politico e filosofico è già in Carla Lonzi, ed è stato poi ampiamente tematizzato da Luce Irigaray. Lo hanno sviluppato, in Italia, Marisa Forcina che ha fondato la Settimana di Lecce e ha scritto la voce Differenza sessuale per l’enciclopedia filosofica Bompiani; la comunità filosofica Diotima dell’Università di Verona, il cui grande seminario che si aprirà il 10 ottobre tornerà su questo tema; Ida Dominjanni che lo ha fatto sulle pagine stesse del manifesto e in molte altre sedi; recentemente, Giusi Zanardo e Riccardo Fanciullacci dell’Università di Venezia, che hanno curato Donne, uomini. Il significare della differenza (Vita e Pensiero, 2010), Lia Cigarini intervistata da Luisa Cavaliere, C’è una bella differenza (et al., 2013). Devo fermarmi.
Secondo me una causa maggiore di confusione è nel linguaggio che parla di differenza come se fosse qualcosa che sta tra donne e uomini spartendo l’umanità in due. Mi chiedo se la tua critica di «pensiero binario» non venga da una confusione di questo tipo. La differenza non è tra. Essa è in me, mi è interna e immanente, mi impedisce di identificarmi con quella che sono, mi mette in relazione con quella che non sono. Non c’è un’identità sicura e stabile nell’essere chiamata donna, e in questo si comincia finalmente a vedere un pregio.
Io ho accettato di essere identificata come donna con una vera e propria decisione politica, che ha coinciso con l’impegno per un senso libero della differenza sessuale. A rigore possiamo aggirare il nostro chiamarci donne/uomini, così come si può non misurarsi con l’imposizione biologica della sessuazione. Ma si può veramente? È una questione aperta che si porrà il prossimo Seminario di Diotima. E lo vogliamo veramente? Per le donne, storicamente discriminate a causa della differenza sessuale, estromettere quest’ultima dalla sfera dell’umano può essere tentante, ma c’è un grande rischio, che in definitiva rimanga solo il neutro-maschile, e che di conseguenza la strada dell’autorealizzazione per le donne torni a essere quella dell’emancipazione o quella dell’imitazionismo.
Insomma, cara Benedetta, la terra da lavorare è tanta, non calpestare quella già lavorata.

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