Cultura

Il Pdup, il manifesto e la storia mancata del Pci

Il Pdup, il manifesto e la storia mancata del PciEliseo Milani, Rossana Rossanda, Luciana Castellina e Lucio Magri al congresso del manifesto nel 1974 – il manifesto

Community Ad Ancona un seminario nel secondo anniversario dalla scomparsa di Lucio Magri. Partendo da una domanda: non è che avesse ragione Natoli a dirci di accontentarci di un quotidiano?

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 17 dicembre 2013

Alcune decine di compagni si sono dati appuntamento due settimane fa ad Ancona. Occasione dell’incontro un seminario sulla storia del Pdup (Partito di unità proletaria per il comunismo) sollecitato da Carlo Latini e Valerio Calzolaio che stanno scrivendo un libro su quell’esperienza. L’iniziativa ha coinciso con il secondo anniversario della scomparsa di Lucio Magri ed è stata promossa dall’Istituto Gramsci Marche e dall’associazione Magri. A fine ottobre, come associazione, avevamo tenuto un convegno a Roma in collaborazione con l’Istituto Sturzo sul dibattito tra cattolici e comunisti negli anni cinquanta, in particolare a Bergamo, opportunità per analizzare la peculiare formazione culturale di Magri e ricordare Eliseo Milani, di cui nel 2004 cadranno i dieci anni dalla scomparsa, oltre a Carlo Leidi, Giuseppe Chiarante e altri protagonisti di quella stagione politica bergamasca. Nella prossima primavera dedicheremo un convegno a Claudio Napoleoni nel quale ricostruiremo tra l’altro l’esperienza della rivista Pace e guerra uscita nei primi anni ottanta con la direzione prima di Napoleoni, Luciana Castellina, Stefano Rodotà e poi di Michelangelo Notarianni.
Si tratta di iniziative impegnative e quasi del tutto – commenterà qualcuno sarcasticamente – rivolte all’indietro (finora hanno trovato l’adesione graditissima della Fondazione Pintor). Del resto è vero che con l’associazione Magri puntiamo prevalentemente a tenere allenata la memoria su alcuni passaggi politici e personaggi che hanno animato la fase in cui la sinistra italiana sembrava, per culture e pratiche politiche, la più avanzata e originale d’Europa. È più difficile infatti districarsi nel presente del Pd di Matteo Renzi, che comunque va giudicato sulle scelte e non a priori, e di una sinistra radicale dispersa e muta nonostante l’eccezione di Sel. Ma tenere allenata la memoria non è solo utile esercizio. Fino a quando non si sarà ricostruita la storia della sinistra italiana almeno degli ultimi venticinque anni continueremo a brancolare nel buio. Come mai siamo arrivati a questo punto? Quali gli snodi? Come abbiamo fatto a disperdere uno straordinario patrimonio ideale e organizzativo?
Nel convegno di Ancona siamo partiti da un interrogativo che lo stesso Magri si è posto nel libro Il sarto di Ulm (Il Saggiatore, 2010): non aveva forse ragione Aldo Natoli, tra i fondatori del manifesto, nel segnalarci che avremmo fatto bene ad accontentarci di un quotidiano e di un lavoro teorico rinunciando all’azione politica? Ci siamo risposti che il manifesto fin dalla radiazione dal Pci nel 1969 si è posto il problema di aggregare la nuova sinistra del ’68. Il nostro tentativo, prima come manifesto e poi come Pdup, resta l’unico sforzo di tradurre in soggettività politica i movimenti del ’68-’69. Quel tentativo, pur tra molti errori, ha fatto maturare una nuova generazione politica dimostrando sul campo che la politica è strategia, tattica, rapporti, egemonia, idealità, valori e che l’assalto al Palazzo d’Inverno – come aveva avvertito Antonio Gramsci – è un’illusione. Migliaia di quadri cresciuti nell’esperienza del manifesto-Pdup hanno inoltre arricchito le varie componenti della sinistra. Se il manifesto è stato anche una scuola di originale giornalismo, il Pdup ha prodotto migliaia di quadri politici e sindacali dotati di una specifica sensibilità politica e culturale.
I principali errori compiuti? L’impazienza politico-intellettuale (è stato un nostro tratto specifico) e la scarsa capacità di ascolto reciproco tra coloro che diedero forma al Pdup tra il 1974 e il 1975 (oltre al manifesto, la componente socialista del Psiup guidata da Vittorio Foa e quella cattolica proveniente dal Movimento politico dei lavoratori) e poi tra gli stessi compagni fondatori del manifesto. Negli ultimi mesi di vita, Magri – responsabile di alcuni strappi nella nostra storia – era convinto che se fossimo arrivati al 1980, quando si sbriciola la strategia del “compromesso storico” ed Enrico Berlinguer accenna a una nuova politica, con un Pdup di consistenti dimensioni e dotato di rappresentanza nel sindacato, con un giornale rappresentativo e in buona salute, forse sarebbe andata diversamente la stessa vicenda dell’autoscioglimento del Pci e della costruzione di Rifondazione comunista. Da qui il suo interrogarsi autocritico (“Alla ricerca di un nuovo comunismo”, Il Saggiatore 2012).
La mia ipotesi è che il risultato delle elezioni del 1972, quando ottenemmo lo 0,7%, impone una prima svolta al manifesto: se si vuole incidere sulla situazione politica, inizia a dire con più forza Magri in accordo con Rossanda, occorre costruire un partito, seppure di dimensioni modeste, con un suo solido baricentro politico. Ad accelerare i tempi dell’unificazione nel Pdup ci pensano poi gli avvenimenti politici: il golpe in Cile del settembre 1973 che motiva per Berlinguer la strategia del “compromesso storico”, la vittoria del referendum sul divorzio nel 1974, l’ondata di movimenti post-sessantottini che non si ferma (dal femminismo all’antipsichiatria, da quelli sulla salute a quelli dei consigli di fabbrica e di zona). Ma nel 1977 il Pdup si rompe, il gruppo di Foa se ne va in Democrazia proletaria. Titola con felice sintesi il manifesto dell’1 marzo di quell’anno: «Il Pdup si è diviso su ruolo e linea del partito da costruire a sinistra del Pci». Sarebbe troppo lungo aggiungere altro.
Dichiara Rossanda in un seminario che si tiene a Bellaria nel settembre 1977 nel quale Magri propone di lasciar perdere l’idea di unificare la nuova sinistra: «Nel Pdup abbiamo finito per non discutere tra noi. Ora ci troviamo su posizioni diverse. Non credo all’ipotesi di darsi per traguardo un partito unico rifondato, il cui asse è il Pci». Il giornale sceglierà la sua unilaterale autonomizzazione dal Pdup nell’aprile 1978. Nel novembre del 1978, a Viareggio, si consuma definitivamente la rottura tra giornale e partito. La maggioranza dei delegati vota la relazione di Castellina a nome del Pdup ma il giornale non tiene in alcun conto le conclusioni del Congresso.
Alle elezioni politiche del 3 giugno 1979 il Pdup si gioca tutto: si presenta in accordo con il Movimento lavoratori per il socialismo e ottiene il quorum a Milano. Il manifesto dà una generica indicazione di voto a sinistra. Sul movimento del ’77, sul rapimento Moro (trattativa-non trattativa), sulla lettura del craxismo le divergenze si erano accentuate e si accentueranno via via. Il 2 aprile 1978 Rossanda scrive un articolo sul terrorismo dal titolo «Album di famiglia». «Chi ha paura di Bettino Craxi?» è il titolo di un editoriale di Pintor del settembre 1978.
Il Pdup, dal 1978 al 1984, scommette – e vince – sulla fine della strategia del “compromesso storico” e dei governi di “solidarietà nazionale”. Magri si era convinto che la collaborazione con il “secondo Berlinguer”, se non fosse morto prematuramente pochi mesi dopo la confluenza del Pdup, avrebbe dato il via a quel rinnovamento del Pci che il manifesto aveva chiesto fin dalle origini. Qui, ovviamente, iniziano un’altra storia e un’altra discussione.

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