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Il Pdl scende in piazzetta

Il Pdl scende in piazzettaSilvio Berlusconi – Eidon

Cassato Il centrodestra sfila oggi sotto casa dell’ex cavaliere. Nervi in tilt nel partito di Berlusconi. Bondi evoca la guerra civile e fa infuriare il Colle, che non offre sponde. Ma i «falchi» incassano il sostegno di Confalonieri, che a casa Silvio conta parecchio. La speranza è che sia il Pd a staccare la spina

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 4 agosto 2013

Per Bondi, che a toccargli l’adorato Silvio diventa più bellicoso di Attila, l’alternativa è secca: «Soluzione politica o guerra civile». Per Fabrizio Cicchitto, che se non ci fosse Gianni Letta meriterebbe il titolo di colomba regina, la situazione è quasi tranquilla: una manifestazione di solidarietà sotto casa del capo condannato, un normalissimo colloquio tra i capigruppi e il capo dello stato, insomma dov’è lo scandalo? Per Maurizio Lupi, che al naturale moderatismo somma la difesa del posto di lavoro, l’importante è tenere i nervi a posto e non prendere decisioni affrettate.
La verità è che il Pdl non sa come uscire dalla situazione disperata in cui è stato precipitato dalla sentenza bomba. Soprattutto non lo sa Silvio Berlusconi. Troppa la rabbia, troppa l’amarezza, troppa la paura, troppo folta la babele di voci che lo spingono in direzioni opposte per poter fare una scelta lucida. Il partito è diviso e le divisioni si riflettono nell’animo del «sommo». Ma l’ala dura ha fatto nelle ultime ore un acquisto importante, forse decisivo. Fedele Confalonieri, finora prudente, avrebbe cambiato parere e sarebbe ora convinto che, anche per il bene dell’azienda, bisogna dare battaglia.
L’«esercito» dunque scenderà in campo, come annunciato, oggi pomeriggio. Però senza corteo, evitando così il rischio che qualche testa calda spinga i soldatini verso il Colle. Non è il momento di fare imbufalire il già furibondo re Giorgio. Ci si limiterà dunque a un solidale sit-in di fronte all’abitazione del «martire», e non è escluso che lui stesso compaia in carne e ossa per salutare e rinvigorire i «fedeli».
Il cambio di programma, giurano gli ufficiali del Pdl, non significa che la tensione si sia stemperata. Già domani o forse martedì i capigruppo Brunetta e Schifani incontreranno Giorgio Napolitano. Non faranno minacce esplicite ma faranno capire che senza la grazia per il capo pregiudicato si potrebbe arrivare facilmente alle dimissioni dei ministri e dei parlamentari. Insomma, alla crisi. La risposta del sovrano è scontata e il Pdl lo sa perfettamente. La grazia è fuori discussione.
In realtà i capigruppo saliranno al Colle, più che per pronunciare diktat seri per ascoltare le controproposte del presidente, che a quel punto avrà già incontrato Enrico Letta e messo a punto una strategia per cercare di evitare l’irreparabile.
Di spazi di mediazione, insomma, ancora ce ne sono però, va giù duro un colonnello del Pdl, «sono larghi quanto le prese per i fondelli: non accetteremo le solite manovre fatte solo per perdere tempo». Significa che per il partito berlusconiano la sola proposta da prendere in considerazione sarebbe un intervento sul Titolo IV della Costituzione: quello che riguarda la giustizia. Certo, vorrebbe dire imboccare una strada diversa per raggiungere il medesimo traguardo. Il Pd non potrebbe accettare di riscrivere il dettato costituzionale sulla giustizia sotto dettatura di un pregiudicato, oltretutto con altre e più pesanti condanne già comminate in primo grado. Però la responsabilità della rottura ricadrebbe sui democratici e per Berlusconi il particolare continua ad essere com’è ovvio molto importante.
La controindicazione è evidente. Per Napolitano resta valido quanto scritto nella risposta sul Corsera a Fausto Bertinotti: le elezioni anticipate sono la malattia dell’Italia. Ci manca solo che il Presidente si rassegni a spalancare le porte per una maggioranza Pd-M5S-Sc-Sel che in pochi mesi porterebbe a termine non solo la necessaria riforma elettorale ma anche una legge sul conflitto d’interessi fatta apposta per sbarrare la strada a Marina l’Erede. La cosa migliore forse sarebbe dunque rinviare lo showdown, resistere fino a ottobre, varare una legge elettorale convieniente assieme al Pd e poi correre alle urne avendo evitato almeno la legge sul conflitto d’interessi.
In questa giostra impazzita di argomentazioni contrastanti e tutte non prive di senso, la decisione finale Silvio Berlusconi ancora non riesce a prenderla. Ma il tempo stringe. La sorte del governo Letta è segnata, ma per quanto verrà prolungata la sua vita artificiale verrà stabilito nel corso della prossima settimana.

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