Il Pd si avvia verso il congresso Renzi: «Apro io l’assemblea»
Democrack Martina tace, i suoi sbottano: «Un’altra forzatura». Ma per il reggente chance a picco
Democrack Martina tace, i suoi sbottano: «Un’altra forzatura». Ma per il reggente chance a picco
Altro che pop corn, nel Pd squassato dalle polemiche – ieri quella durissima del presidente Emiliano contro il ministro Calenda e il governo Gentiloni – M Renzi torna in scena e cala un asso. Dalla sua enews annuncia che sarà lui ad aprire l’assemblea di sabato prossimo: «Spiegherò quali sono a mio avviso le cause della sconfitta e come ripartire», scrive.
Insomma, ancora una volta, sarà lui a tracciare la strada del futuro del Pd. Stavolta anticipando persino la relazione del reggente, e costringendolo a seguire. Nel Pd che aveva fatto fuoco e fiamme su una battuta (smentita) di Renzi sui pop corn, stavolta quasi nessuno parla apertamente. Il reggente Martina tace. Ma i deputati a lui vicini sbottano: «È l’ennesima forzatura di Renzi. Annuncia di intervenire per primo all’assemblea nazionale per indicare la prospettiva dopo aver rassegnato le dimissioni alla direzione di marzo». Al reggente, spiegano, la direzione ha dato «la fiducia per ben due volte». Giusto, «anzi doveroso», che Renzi parli al parlamentino Pd. «Ma ancora una volta si disinteressa delle scelte collegiali e sceglie solo per sé».
In realtà Renzi aveva annunciato sin dai giorni delle dimissioni che avrebbe parlato all’assemblea. Aprirne però i lavori – il cui ordine del giorno sarà deciso dal presidente Orfini – rischia fatalmente di avere un altro senso, politicamente più ingombrante.
Anche perché l’assemblea – dove irromperà l’amaro caso della cassaintegrazione a zero ore dei dipendenti del Nazareno, tutti tranne 45 – deve decidere se eleggere un segretario o aprire il congresso. Allo stato dell’arte è quasi certo che si aprirà il congresso. La maggioranza non ha ancora deciso il suo candidato. Pregato, Delrio continua «a fare come Celestino V», sospirano i colleghi, insomma rifiuta. Gentiloni anche. Nonostante questo le chance di vittoria di Martina colano a picco. Sempre ché nel frattempo non salti la trattativa fra Lega e M5S e si precipiti di nuovo verso il voto in autunno. In ogni caso fra i deputati renziani c’è chi è scettico persino sulla corsa del reggente: «Chi lo candiderebbe? Orlando, Cuperlo? Mi pare che loro pensino a Zingaretti». Il congresso non si svolgerà prima di novembre.
E le primarie fra la fine anno e la vigilia delle europee del ’19 potrebbe essere per il presidente del Lazio il momento immaginato per correre. Sempreché mantenga la promessa di farlo. Ma non da candidato di minoranza, come ha sempre avvertito.
Renzi invece non correrà per le primarie, ma non rinuncia a fare il regista della prossima fase. E della prossima segreteria. Della minoranza l’unico a parlare apertamente è Cesare Damiano: «Renzi è andato oltre il limite della decenza». Gli risponde la consueta marcatura a zona (renziana) guidata dal deputato Michele Anzaldi: «Damiano vuol togliere il diritto di parola a Renzi?». Al Nazareno minimizzano: «La scelta è del tutto regolare. A norma di statuto Martina è reggente fino all’assemblea, ma nel momento in cui l’assemblea si apre, lui non c’è più».
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