Il Pd si affida a Conte Zingaretti: «Di Maio è un problema dei 5S»
La palla al piede «Passi avanti» sul programma, resta il nodo vicepremier. Il segretario dem non intende strappare: chiuderò quest’accordo
La palla al piede «Passi avanti» sul programma, resta il nodo vicepremier. Il segretario dem non intende strappare: chiuderò quest’accordo
«Sappiamo che è una partita complicata, però abbiamo la massima fiducia, non solo nel nostro segretario Zingaretti e nella delegazione del partito, ma anche nell’attenzione che sta mettendo nel programma il presidente incaricato». A fine giornata, dalla festa dell’Unità di Milano la vicepresidente dem Debora Serracchiani fa il punto della trattativa fra Pd e M5s, quella che da Ravenna l’ex segretario Pier Luigi Bersani definisce «l’incontro fra due disperazioni».
È UN’ALTRA GIORNATA tesa, da thriller politico. Aperta con molte voci del Pd che si scagliano contro gli «ultimatum» di Di Maio e fanno pensare a un’imminente rottura. Di mattina il colloquio fra Mattarella e Conte sembra sintomo di una preoccupazione che sale su fino ai palazzi. Nel pomeriggio dalla riunione romana dei pretoriani del vicepremier arrivano nuovi rulli di tamburi di guerra: Di Maio ancora non vuole fare un passo indietro da Palazzo Chigi.
Ma la verità è che il Pd ha fiducia in Giuseppe Conte: il presidente incaricato ha chiaro che quella di Di Maio è ormai una sfida alla sua persona, alla sua leadership sui 5 stelle e alla sua premiership sul governo. L’avvocato prepara con attenzione un incontro a tre con Zingaretti e lo stesso Di Maio. Sarà l’ultimo, quello definitivo. Nel pomeriggio di ieri si sparge la voce che l’appuntamento è fissato già per la serata, ma dal Nazareno arriva una secca smentita. Zingaretti non ci sta, non sarà il Pd a levare le castagne dal fuoco in una questione ormai tutta interna al Movimento. «Il cuore del problema è chiaro ed è uno solo: il Pd vuole fare un governo nuovo con i 5 stelle e altri, di svolta e con un programma nuovo e scritto insieme. I 5 stelle vogliono i voti del Pd e della sinistra per un governo 5 stelle guidato da Conte e Di Maio», spiegano le «fonti del Pd» ovvero la macchina dell’informazione informale del segretario.
IL CONFRONTO A TRE si dovrebbe svolgere oggi. Ma a sera ancora l’appuntamento non c’è. Del resto, d’accordo con Zingaretti, Conte ha dato un colpo di freno alla corsa: ha fatto sapere che scioglierà la riserva solo dopo il voto della piattaforma Rousseau, che dovrebbe svolgersi domani. Tutti appesi alla rete, dunque. Se dirà sì le soluzioni possibili restano ancora due: o nessun vicepremier, considerata la più probabile; o due vicepremier. Chi quota questa seconda opzione dà per certo che Conte farà i nomi di Luigi Di Maio e Dario Franceschini.
A Di Maio il Pd ha detto no, finora. Ma se al Nazareno infuria il totoministri è perché alla rottura non crede nessuno. A mezzogiorno l’incontro fra i capigruppo Pd e 5 Stelle dura un paio d’ore e va bene. «Abbiamo continuato l’approfondimento dei dossier insieme a Conte, abbiamo fatto ulteriori passi avanti e poi il premier incaricato farà una sintesi», riferisce all’uscita il capogruppo Pd alla camera Graziano Delrio. Le «fonti Pd» entrano nel dettaglio: «Sono state accolte gran parte delle proposte del Pd a partire dal taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori, da una nuova legge sull’immigrazione, dal blocco dell’aumento dell’Iva e dallo sblocco immediato delle infrastrutture».
ZINGARETTI INSISTE sul tasto dei decreti sicurezza, uno dei temi su cui Di Maio vuole invece restare fedele all’ex alleato Salvini: posta su twitter un articolo di Avvenire sui bimbi trasbordati dalla Mare Jonjo nel mare in tempesta e commenta: «Queste cose non vogliamo più vederle. Non è umano. Fate scendere subito questi esseri umani». Renzi ritwitta. Un segno di unità, merce rara da parte dell’ex segretario che negli scorsi giorni chiedeva di dire sì ai capricci di Luigi Di Maio.
Il segretario Pd comunque non ha alcuna intenzione di strappare: «Chiuderò quest’accordo», dice ai dirigenti che bussano alla sua porta o telefonano. L’unica vera, concreta, possibilità che salti sta nelle mani dei 5 Stelle. Anzi nei click della piattaforma Rousseau. A tramare per quel no, che la stragrande maggioranza dei parlamentari pentastellati non vuole, Di Maio è solo: la pattuglia di fedelissimi sarebbe ridotta a un drappello di quindici parlamentari. Un manipolo di uomini, niente rispetto ai bei tempi del governo gialloverde, e tuttavia determinante per il voto di fiducia.
MA INTANTO LA CLESSIDRA si svuota, lunedì Conte dovrà fare la sintesi sui programmi e mercoledì è considerato il termine ultimo per lo scioglimento della riserva, l’impuntatura di Di Maio rallenta i tempi. Con l’effetto collaterale che i potenziali alleati si innervosiscono. «Cominciamo a essere un po’ seccati», sbotta Loredana De Petris (Leu), presidente del gruppo misto al senato. «E’ davvero strano che in tutti questi confronti per il programma, se davvero di programma Pd e M5s stanno parlando, non siamo mai stati coinvolti. Finora noi l’unico confronto programmatico lo abbiamo avuto con Conte ma, quando si deve costruire un perimetro politico, sarebbe bene allargarlo. Quando M5s e Pd avranno deciso e avranno fatto l’accordo entreremo pure noi, cosa possiamo fare?».
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