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Il Pd prende il traghetto

Il Pd prende il traghettoGuglielmo Epifani tra Sergio D'Antoni e Pier Luigi Bersani – Donatella Giagnori - Eidon

Democrack L’assemblea nazionale elegge Guglielmo Epifani segretario fino al congresso: «Ora una discussione esplicita non sui nomi ma sulle linee»

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 12 maggio 2013

Trauma. È una delle parole che ricorre, in questa assemblea nazionale del Pd che elegge senza pathos Guglielmo Epifani segretario fino al congresso. È quello che si legge sui volti dei democratici che si aggirano nel padiglione della Fiera di Roma o siedono in sala, formando una platea attonita, dalla quale si levano applausi che somigliano a riflessi condizionati. Compreso quello tributato all’ex segretario generale della Cgil – al termine del suo intervento salutato con un abbraccio dall’ex sindacalista Cisl Sergio D’Antoni – eletto con 458 sì, l’85 per cento dei votanti, 593 in tutto sugli oltre mille membri che sulla carta compongono l’assemblea.

Pacificazione, è un’altra parola ricorrente. Pronunciata per dire, come fa Rosy Bindi, che «non mi si può chiedere di accettare questa retorica, imposta da Brunetta». E aggiungere, come Laura Puppato, che neanche il partito può certo dirsi pacificato con la scelta in extremis, tessuta in particolare da Pier Luigi Bersani e Enrico Franceschini, del segretario, «traghettatore» o meno che sia (e non sembra proprio che si limiterà a portare il partito alle assise previste «entro ottobre», e infatti lui si guarda bene dall’affermarlo). E nel clima depresso dell’assemblea, è ancora Puppato (che rinuncia a presentare il documento contro le larghe intese, che avrebbe dovuto raccogliere 95 firme) a provocare uno dei pochi momenti vivaci quando, pensando al governo Letta, dice invece «governo D’Alema», dalla sala si leva un mormorio, le spiegano l’errore e lei si corregge: «È stato un lapsus, evidentemente stavo pensando ai 101». Scatta un applauso, Massimo D’Alema seduto a un’estremità della prima fila alza il mento stizzito.

I 101, il numero stampato sulle magliette dei ragazzi di Occupy Pd, quei 101 che hanno affondato la candidatura di Romano Prodi al Quirinale («per poter fare il governo delle larghe intese», accusa la prodiana Sandra Zampa), seguita dalle dimissioni di Pier Luigi Bersani. Atto finale di una serie di cadute – le elezioni non vinte, il pre-incarico caduto nel vuoto, la candidatura di Franco Marini al Colle perché era il prescelto da Silvio Berlusconi e il nuovo cambiamento di linea – che hanno portato il Pd a consegnarsi alla coalizione di governo con il Cavaliere e a scrutare da lì il baratro. Errori che vengono da lontano, dalla guerra permanente tra correnti – «no al correntismo», dice pure Matteo Renzi, che circola per i padiglioni inseguito dalle telecamere e dice di mettersi al servizio del partito «da militante»; dall’incapacità di costruire una soggettività nuova, dall’abbandono delle piazze, dalla rinuncia alla costruzione di un’alternativa… è l’elenco messo insieme dagli interventi più critici.

«Stiamo per toccare il fondo – osserva lo stesso Epifani – ci sono responsabilità e nessuno, me compreso, può chiamarsi fuori». Il neo segretario chiede un «congresso vero», una «battaglia esplicita» sulle linee e non sui nomi, per «salvare l’identità» del partito, ricostruire «il rapporto con il paese», e poter «considerare questo progetto come un progetto in grado di stare in campo per un lungo futuro». Sostegno a Enrico Letta, ovviamente, ma «questa è una giornata in cui qualcuno a Brescia sta tornando a mettere una mina» e va capito «se questo è un governo negli interessi del paese o si antepongono gli interessi di una persona a quelli del paese».

La risposta è meglio rimandarla, Letta saluta la «buona notizia» dell’elezione di Epifani e ripete che «questo non è il governo per cui ho lottato, e nemmeno io sono il presidente del consiglio per cui ho lottato». Omaggio a Pier Luigi Bersani, congedato con applausi e abbracci, che aveva aperto la giornata auspicando «un nuovo inizio» e, pur sorvolando sull’autocritica, aveva concluso con un amaro «di quello che non ha funzionato si dia la colpa a me, è la legge della politica che si vince insieme, ma si perde da soli». You’ll never walk alone, è invece il motto (quello del Liverpool) che Letta suggerisce al «segretario senza aggettivi» Epifani. Suona già come un’investitura per il prossimo congresso, e lo slogan subito campeggia sul sito del Partito democratico.

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