Il Pd mette fretta a Conte: «O trova 170 senatori o si vota»
Il day after del premier Il pressing di Zingaretti e Bettini: «Così non si governa»
Il day after del premier Il pressing di Zingaretti e Bettini: «Così non si governa»
«Fare in fretta». Nicola Zingaretti, al di là delle parole ufficiali, è «molto preoccupato» per la situazione del governo. Teme che la crisi si trascini, o peggio che il Conte 2 si abitui a navigare a vista, senza quel «salto di qualità» necessario.
Ieri il segretario del Pd lo ha detto al vertice di maggioranza con Conte, M5S e Leu, i partner della coalizione superstiti. «Benissimo il tentativo di allargare la maggioranza con una quarta gamba liberale ed europeista» e «dare una identità politica alla maggioranza di martedì in Senato». Ma «bisogna correre».
Tutti d’accordo, al tavolo, e le prossime 3-4 settimane serviranno per arrivare al quorum indicato da Dario Franceschini: «Un governo è forte se può contare su almeno 170 senatori», ha detto il capodelegazione, dunque ne servono altri 14. I tre dell’Udc, il gruppetto di Quagliariello e Romani, altri transfughi da una Forza Italia in fermento, il ritorno a casa di alcuni renziani pentiti: questa la tavolozza su cui il premier e i suoi emissari hanno avuto carta bianca per lavorare. Ma «il tempo si misura in poche settimane, per capire se c’è spazio per un patto di legislatura», avverte Goffredo Bettini.
Per riuscirci, i Ciampolillo, Maria Rosaria Rossi, il socialista Nencini, i 5 del Maie e tutti gli altri «volenterosi» dovranno darsi una regia, un profilo politico.
«Altrimenti non si arriva a fine legislatura», spiegano ai piani alti del Pd. Bettini è molto chiaro: «Non è che le elezioni non si possono fare, perché si fanno in tutta Europa. Ma se non riusciamo a rafforzare il governo, non c’è un governo della destra o con le destre: si va alle elezioni», spiega a Sky Tg24. E ribadisce: «Con questi numeri non si può governare due anni».
ZINGARETTI È TOTALMENTE d’accordo, e così gli altri due quadrumviri che reggono il Pd, Andrea Orlando e Dario Franceschini. Molto meno i parlamentari che rischiano di restare a casa, ma questo è un problema che si porrà più avanti.
Lo strappo di Renzi ha avvicinato i dem a Conte, ha riunito una maggioranza che, al netto di Italia Viva, negli ultimi mesi ha avuto parecchi problemi. Per questo i dem ritengono giusto «provare in tutti i modi» ad andare avanti con questo governo. Partendo subito con una sostituzione chirurgica nella casella dell’Agricoltura lasciata vacante da Teresa Bellanova, per rimandare più avanti il rimpasto vero. Questa almeno la linea di Franceschini e Bettini che vogliono attendere la nascita del nuovo soggetto politico prima di cambiare la squadra di governo. E temono che i cinque stelle implodano se si toccano i ministri.
FEDELTÀ A CONTE, DUNQUE, «lui è il punto di equilibrio di questa maggioranza» e «i voti alla Camera e in Senato dimostrano che nessuna altra ipotesi è possibile», dice il segretario. Il problema sorgerà se l’avvocato non riuscirà ad arrivare a quota 170. In quel caso i dem temono di finire risucchiati da Renzi nel governo di larghe intese con la Lega, magari indorato dalla guida di Mario Draghi.
Ieri il renziano doc Luciano Nobili ha aperto sul Foglio ad un «governo per la ricostruzione del Paese», spiegando che «è innegabile che Salvini negli ultimi mesi abbia mutato posizioni su euro, Europa, atlantismo. Noi gli diciamo: bravo».
AL NAZARENO È SCATTATO l’allarme. Un Governo con tutti dentro sarebbe incomprensibile, perché abbiamo una destra di un certo tipo. Il Pd non lo voterebbe mai», mette in chiaro Bettini, consapevole che è questa l’operazione che Renzi ha in testa da settimane, la più insidiosa per un partito come il Pd. Franco Mirabelli, vicecapogruppo in Senato, la mette giù dura: «Ricordo ai parlamentari di Iv eletti nelle liste del Pd che questo governo fu costituito proprio per impedire a quella destra di governare».
Una guerra, quella tra dem e Renzi, che si giocherà nei prossimi giorni su questo terreno, con il tentativo del Pd di riportare a casa altri senatori. Missione non impossibile. Conte dovrà lavorare sui centristi, a partire da Paola Binetti chemartedì ha votato sussurrando «mai dire mai». Tre-quattro settimane per seminare e raccogliere. «Altrimenti si vota». Con il partito di Conte? «Non lo farà, non gli conviene», taglia corto Bettin
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