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Il Pd: mai Berlusconi Ma su Draghi al Colle restano le divisioni

Il Pd: mai Berlusconi Ma su Draghi al Colle restano le divisioni – Ap

Quirinale A Letta mandato unanime della direzione per un nome «di garanzia» Bettini e Orfini: il premier resti dov’è. Sul tavolo l’ipotesi Riccardi

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 16 gennaio 2022

Parare la candidatura di Berlusconi senza stracciare i rapporti col centrodestra. E tenere unito il Pd che sull’opportunità del trasloco di Draghi al Quirinale ha al suo interno idee assai diverse. Questa la missione di Enrico Letta che ieri, dopo 4 ore di riunione della direzione Pd unita ai gruppi parlamentari, ha ricevuto un mandato unanime a «seguire la trattativa per individuare una figura di alto profilo istituzionale e non di parte» per il Quirinale, garantendo «stabilità nell’azione di governo e una conclusione naturale e ordinata della legislatura».

IERI È STATO IL GIORNO della reazione dei dem alla candidatura del Cavaliere. «Il centrodestra non ha alcun diritto di prelazione sulla scelta del prossimo capo dello Stato», ha chiarito Letta, «non ha i numeri per rivendicare questo diritto e questa proprietà». E l’indicazione di Berlusconi è «profondamente sbagliata», ancor più la sua ricerca di voti spregiudicata, «è il leader più divisivo sulla scena», serve invece «una figura in scia con Mattarella, di garanzia e super partes». «Oggi il paese non si può permettere elezioni anticipate», il messaggio rivolto ai grandi elettori dem e anche ai 5 stellw, che più di tutti temono le urne.

È proprio nel giorno in cui il Pd alza le barricate contro Berlusconi («Una provocazione, una proposta indecorosa, il governo finirebbe un minuto dopo», sintetizza Gianni Cuperlo) che Letta si incarica di «riaprire quel dialogo che il centrodestra ha chiuso» lanciando la proposta di un «patto di legislatura» che comprenda un presidente «di garanzia», un nuovo accordo di governo e un pacchetto di riforme istituzionali che comprenda la legge elettorale e norme anti-trasformismo. «Ognuna delle forze di maggioranza deve fare un gesto di coraggio e generosità verso il paese». dice il leader pd. E Draghi? «La sua figura va protetta», ribadisce Letta, «è una carta fondamentale per la nostra credibilità internazionale, dobbiamo far sì che dia il meglio per il paese». «Non vorrei che alla fine di giochi irresponsabili ci giocassimo la carta di Draghi e la sua forza». Che fare dunque se alle prime votazioni la destra proporrà Berlusconi? Letta spiega che la scelta sarà presa con gli alleati, potrà essere scheda bianca o un nome di bandiera da trovare insieme.

E QUI SI APRONO LE DANZE tra i dem. La richiesta corale che arriva è quella di una «iniziativa politica» per portare la destra su un nome condiviso. Iniziativa che assume un significato diverso tra chi, come Goffredo Bettini e Matteo Orfini (e anche Franco Mirabelli della corrente di Franceschini), chiede che Draghi resti a palazzo Chigi e chi, come Stefano Bonaccini, invita a «non togliere Draghi dal tavolo» della trattativa, anche come «contrappeso» a Berlusconi. «Dobbiamo giocare con tutte le carte», l’invito che arriva anche dal vicesegretario Giuseppe Provenzano. Mentre Andrea Orlando parla dei «contraccolpi» che la candidatura del Cavaliere, «pericolosa e irresponsabile», ha già prodotto e sulla tenuta della legislatura che «non è data a prescindere».

SECONDO BETTINI «LA COSA più naturale è che questo governo continui con il suo presidente del consiglio». «Per noi è d’obbligo fare un tentativo aperto per trovare un presidente che abbia una forza politica». Una figura proveniente dai partiti, quindi, che possa essere accettata dai due schieramenti a prescindere dalla sua appartenenza. Solo in caso di fallimento, spiega, tornerebbero in campo le figure di Mattarella e Draghi. Ma nel caso la scelta cada sull’attuale premier, avverte, il Quirinale non può essere inteso «come prosecuzione dell’emergenza, la funzione del presidente della Repubblica è diversa». Bettini dà voce a un sentimento che nella sinistra, fuori e dentro il Pd, è presente: evitare cioè che l’elezione di Draghi al Quirinale prenda il sapore di una abdicazione totale della politica, o peggio che si instauri una sorta di semi-presidenzialismo di fatto.

A PARTE QUELLO DI DRAGHI, di nomi in chiaro alla direzione Pd non ne vengono fatti. Ma i big riflettono e si parlano su ipotesi come Giuliano Amato, che Letta gradirebbe molto (ma trova muri nei 5 stelle). Dietro le quinte circolano altri nomi, anche di centrodestra. Il timore infatti è che, di fronte a un ritiro del Cavaliere, Forza Italia, Lega e Fdi possano proporre nomi come Elisabetta Casellati e Letizia Moratti, o addirittura Gianni Letta, zio di Enrico. Di fronte a nomi del genere sarebbe più difficile alzare le barricate. Ancor più difficile opporre resistenza a Pierferdinando Casini, che in questa legislatura è stato eletto in Senato col Pd a Bologna. Per questo si cerca un nome che possa sparigliare: alle orecchie di Salvini (considerato il principale interlocutore dai dem) è arrivato da sinistra il nome di Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, intellettuale molto vicino al Vaticano e dalle molteplici relazioni.
Gli altri nomi sul tavolo della trattativa Pd-Lega sono Casini e Franceschini (ieri assente alla direzione). Due personalità che potrebbero trovare il favore anche di Matteo Renzi. Ma è assai improbabile che il leghista dia l’ok a un altro presidente del Pd.

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