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Il Pd conferma Paita, ma è un patto a denti stretti

Il Pd conferma Paita, ma è un patto a denti strettiRaffaella Paita

Liguria Luca Lotti riunisce la candidata e Burlando per studiare le prossime mosse: raffica di sondaggi per valutare l’effetto dell’inchiesta e decidere su cosa puntare fino al voto. Ma il malumore ora agita anche i renziani

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 17 aprile 2015

È il patto del Maniman. Sarà pure il nome di un ristorante, ma in dialetto genovese il significato è chiaro: non si sa mai, «maniman», appunto. Perché ora tutti vogliono capire l’effetto che farà. A un mese e mezzo dal voto i vertici del Pd locale e nazionale scoprono di aver paura: temono più del previsto la «battaglia decisiva» che anche il premier Matteo Renzi ha annunciato di combattere in Liguria. E’ per questo che Luca Lotti, sottosegretario alla presidenza del consiglio, decide di riunire in un ristorante genovese la candidata indagata Raffaella Paita e il suo sponsor primario, il governatore uscente Claudio Burlando. Insieme e in una certa segretezza mettono a punto una nuova mossa. Prevede una raffica di sondaggi per sapere quanto la vicenda giudiziaria possa aver diminuito il gradimento della candidata Paita. Non solo: intervistando i liguri i sondaggisti vorranno capire su quali punti si dovranno focalizzare gli interventi degli ultimi 40 giorni di campagna elettorale.
Così, mentre le dichiarazioni ufficiali sembrano mostrare un assoluto controllo della situazione, la realtà è decisamente un’altra. Su questo punto, sull’opportunità di candidare e sostenere ancora la Paita, il partito è spaccato, anche nella sua componente solitamente più monolitica, quella dei «renziani».

Spaventa l’effetto alluvione, perché il tema è doloroso, perché ha lasciato in Liguria morti e disperazione, anche nei dieci anni di saldo governo Burlando. Spaventano le accuse rivolte alla candidata: concorso in omicidio colposo, disastro colposo e omissione, cioè mancata allerta in quella sciagurata notte tra l’8 e il 9 ottobre 2014. Spaventano ancora di più le motivazioni che hanno portato i magistrati genovesi Gabriella Dotto e Patrizia Ciccarese ad aprire l’inchiesta. Si legge nell’avviso di garanzia che gli indagati «avrebbero gravemente ritardato l’attivazione delle procedure di protezione civile e il coordinamento di mezzi e persone». E questo, sempre secondo gli inquirenti, «cagionando il decesso per annegamento di Antonio Campanella».

Non solo, i magistrati sottolineano pure come tutto questo sia accaduto in presenza di previsioni che già dal giorno precedente avrebbero dovuto suggerire un allerta meteo, con uno specifico riferimento a quando accaduto l’anno prima quando un altro evento alluvionale causò la morte di sei persone. Questo non è stato fatto, «in violazione di precise leggi nazionali e regionali», di questo è accusata Raffaella Paita, assessore ligure alla Protezione Civile e ora anche candidata alla presidenza della Regione.

Sono frasi e accuse pesanti, sono ferite ancora aperte. E’ una vicenda che si trascina dietro morte, fango, disperazione e una sensazione abbastanza diffusa: la sciagura dell’ottobre scorso avrebbe lasciato il segno anche sull’imminente campagna elettorale. Così è stato. Lo sì è capito tre giorni fa, quando a Genova è atterrato Matteo Renzi, che nei giorni dell’alluvione aveva scelto di non presentarsi in città. Lo si capisce ieri, con l’arrivo previsto quanto provvidenziale del sottosegretario Lotti. Che spiega: «Per me, e parlo come militante e tesserato del Pd, è giusto che Raffaella Paita vada avanti. L’avviso di garanzia è a sua tutela». E se il tesserato Lotti chiede il sostegno del partito, eccolo accontentato. Arriva da Roma per voce del vicesegretario Lorenzo Guerini: «Raffaella Paita continua a essere il candidato del Pd e della forze che la sostengono nella campagna elettorale».
La sostiene anche Angelo Bagnasco, cardinale genovese ed ex presidente dei vescovi italiani: «C’è grande dispiacere e grande dolore innanzitutto per il fatto che, chissà per quale motivo, le indagini esplodono sempre in certe ore della storia delle città e della nazione».

A spiegare il perché ci prova il procuratore capo Michele di Lecce: «Gli avvisi di garanzia sono stati mandati nei tempi previsti e fisiologici di questo processo». Un processo, un’infinita campagna elettorale, una candidata diventata all’improvviso scomoda. E un invito, lanciato da Beppe Grillo insieme a un hashtag #PaitaRitirati!. Maniman, ma nessuno in Liguria ci crede più.

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