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Il passato dell’Italia e il nostro bisogno di comunità

Il passato dell’Italia e il nostro bisogno di comunitàUna scena di "Invelle"

Cinema Simone Massi, con "Invelle", mette le sue matite a servizio del ricordo

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 13 settembre 2024

Il film a disegni animati di Simone Massi Invelle, ancora in sala, è per tanti aspetti sorprendente… Racconta un villaggio italiano nei momenti cruciali del Novecento, due guerre mondiali e gli anni del terrorismo, ma mi viene da definirlo un film da 25 aprile, è un romanzo corale che richiama, pur partendo da lontano e insistendo sul dopo, quella straordinaria letteratura resistenziale e post resa illustre dai Cassola, dai Calvino, dalle Viganò e da tanti altri. Egli va oltre la cronaca e la storia e si addentra in una dimensione quasi sociologica e antropologica, narrando di una comunità e non di un singolo eroe. Il suo film è poesia.

Massi è di Pergola, un piccolo paese di valle posto tra Urbino e Gubbio, e che anzi fu fondato dagli eugubini. A Gubbio io sono nato e cresciuto e le destinazioni, parte in bicicletta parte a piedi, delle nostre scorribande adolescenziali, erano Pergola o il monastero di Fonte Avellana, appunto tra Umbria e Marche, tra Gubbio e Urbino. Si dice che Pergola fosse una specie di colonia eugubina ed è sorprendente che vi si parli ancora il dialetto che a Gubbio si parlava quando ero piccolo. (La famiglia jesina dei Pergolesi si chiamava così perché veniva da Pergola, e ha dato alla storia della nostra musica un giovane genio formatosi a Portici, a Napoli; che morì giovanissimo, e avrebbe potuto essere pari a Mozart…).

Di Massi ho apprezzato tutte le opere precedenti, da amante del fumetto e insieme del disegni animati (questo mi valse l’amicizia di un grande pioniere, il genovese Emanuele Luzzati detto Lele) considerandolo da subito uno dei grandi nomi del nostro cinema in un settore considerato ingiustamente secondario. Di questo film mi ha sorpreso il titolo, Invelle. Nel nostro dialetto invelle equivale a «nessun luogo» ed è un modo rispondere quando ci viene chiesto «dove vai?», «dove andate?», anzi «dua vi?», «dua gite? ». «Invelle» era dovunque e nessun luogo, era una destinazione ignota o nessuna destinazione, era l’andare per andare… Non mi intendo di dialettologia, ma sarei curioso di sapere da dove ha avuto origine questa modo di dire.
«In nessun luogo» vale, nel film di Massi, per il suo luogo, ma anche per ogni luogo… Dell’Italia negli anni di pace e in quelli di guerra e d’altri conflitti.

Invelle racconta la vita di una piccola comunità appenninica contadina e artigiana, dove la vita quotidiana è aggredita dapprima dal fascismo e poi dall’occupazione tedesca. Una comunità, come tutta l’Italia, divisa dalle ideologie, dalla politica, specchi di interessi diversi ma anche di visioni diverse del mondo.
Il segno di Massi mette le sue matite a servizio del ricordo, o meglio: dei ricordi della sua comunità e non solo dei suoi. Poche figure si staccano occasionalmente dal coro ma sono espresse dal coro e ne esprimono le contraddizioni, perché è il coro che conta; tra tutte quella di un prete insofferente della prepotenza fascista, nazista. Di una vittima sacrificale. Ma è sempre l’occhio di un bambino – di due bambini e di una bambina – a guardare vedere interrogarsi, e l’autore li fa propri perché quegli occhi hanno una purezza e immediatezza che manca allo sguardo degli adulti, oscurato dalle ideologie e dagli interessi; quegli occhi sono in definitiva i suoi, il suo, e mandano sguardi di vera e grande purezza, anche quando nella difficoltà di capire il mondo, di accettare la realtà. Ed è il sacrificio a salvare infine la comunità, come nelle antiche leggende e nella traduzione cristiana.

Il film di Massi ha un unico e secondario limite: è molto lungo e non sempre la fascinazione del racconto e quella del linguaggio in cui è costruito mantengono viva nello spettatore la stessa tensione e ammirazione. Ma Massi sa bene quanto gli è costata fatica la lavorazione di questo film immagine per immagine, e dal suo lavoro non vuole staccarsene, non vi vede un primario e un secondario e lancia allo spettatore un messaggio prezioso. Sembra dirgli: mettici anche tu un po’ di sforzo, per capire meglio anche tu cosa noi siamo stati e da dove vieni; considera anche tu quanta fatica mi ha permesso di partorire questo capolavoro Ma anche con quanta fatica siamo usciti da un passato violento cercando di mantenere vivo il nostro bisogno di comunità, e di giustizia, e di bellezza. E quante contraddizioni ancora ci segnano, quante fatiche dobbiamo ancora affrontare. Veniamo da un passato che tendiamo a dimenticare, e non abbiamo delle utopie che ci guidino e sostengano.

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