Cultura

Il parcheggio della creatività

Il parcheggio della creativitàLa mostra al Palaexpo durante la sua inaugurazione

Mostre «Anni 70. Arte a Roma» al Palaexpo. Quando tutti scendevano nei sotterranei di Roma, per assistere a performance, proiezioni, rassegne

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 16 gennaio 2014

Girando per la ricca mostra documentaria sugli anni 70 a Roma, che Daniela Lancioni ha disposto nelle sale del Palaexpo, è difficile non farsi domande e non farsi assalire da dubbi, e forse anche da qualche rimpianto. Non certo per «passatismo» o nostalgia, ma proprio perché, seppure in anni vorticosi sui quali si addensavano ombre assai cupe, le espressioni artistiche mostravano una reattività, e una capacità di pensiero e di progetto, fenomenali. E soprattutto «si parlavano» molto tra di loro, senza sottigliezze e distinguo, o peggio sospetti o strumentalizzazioni.

È difficile ora, per chi vi abbia partecipato o ne sia stato semplice spettatore, raccontare a un ragazzo di oggi quanto fosse possibile e facile comunicare direttamente con gli artisti, e quanta disponibilità ci fosse da parte di questi a mostrar processi e tecniche creative, percorsi e dubbi, fughe (intellettuali o magari semplicemente in India) e conquiste. Le onde telluriche che il ’68 aveva mostrato nella società davano luogo a una spinta artistica enorme, anche se molto eterogenea.

In questo senso Contemporanea, la grande mostra di tutte le arti, nel parcheggio sotto villa Borghese appena costruito e già disertato dalla pigrizia automobilistica romana, fu nella prima metà di quel decennio una sorta di «stati generali» dell’arte, planetaria e insieme molto romana, dove la città si faceva sotterraneo ombelico, rilevatore e miscelatore di quanto in tutto il mondo irrompeva, si sedimentava, si elaborava e si faceva collettiva visione. Unico segno assai visibile in superficie (e molto discusso e osteggiato allora), l’impacchettamento entro bianchi teloni dell’intero tratto di mura a Porta Pinciana realizzato da Christo. C’era stato in verità il precedente di Vitalità del negativo (proprio al Palaexpo) dovuto alla medesima sinergia tra il bisturi critico di Achille Bonito Oliva e l’abilità organizzativa di Graziella Lonardi, capace con la sua generosità mediterranea (delle cui divinità pagane portava la bellezza antica) di coinvolgere e convincere sia i grandi sponsor industriali (dalle banche ai grand commis della proprietà del parcheggio) come i galleristi, e soprattutto gli stessi artisti, a cominciare da Andy Warhol che l’aveva serialmente immortalata.

Ma se la mostra precedente riguardava solo le arti visive, Contemporanea realizzò il folle progetto di mettere tutte le arti a confronto, dal cinema alla body art, dalla fotografia al teatro, da musica e danza fino alla poesia visiva e alla comunicazione. Trovando per ogni «sezione» curatori straordinari capaci di attirare sotto villa Borghese il genio di molti artisti magari ancora sconosciuti (o quasi) in Italia. Facendone attrazione e passione di massa. C’era Bob Wilson che provava con Christopher Knowles l’estenuante traversata dello spazio scenico in diagonale (tre anni prima di Einstein on the beach), e Beuys e Vostell con memorabili performance, e Jasper Johns con le sue bandiere, e Tinguely con i suoi meccanismi sonanti come carillon di trovarobato della memoria. E Meredith Monk con le sue meditazioni di grazia sublime, e La Monte Young e Steve Paxton e Charlemagne Palestine, e l’ancora semisconosciuta Trisha Brown. Ma poi, nella sala cinematografica, si poteva incontrare anche Pier Paolo Pasolini che sconosciuto non era certo, scortato dal fido Ninetto, modesto e disponibile ad incontrare gli spettatori dei suoi mitici episodi a corto metraggio.

Erano centinaia gli artisti presenti non solo con le loro opere,ma di persona: una vera assise internazionale del genio che avrebbe ispirato per molti anni a venire nuove generazioni di artisti e ricercatori. Si confrontavano tra loro, e il pubblico con ognuno di loro. Una esperienza fondante per la rinascita artistica del paese. Poi le cose, dentro e fuori dell’arte, sarebbero presto cambiate, e Renato Nicolini avrebbe inventato l’Estate romana, come gesto artistico collettivo rispetto all’oscurarsi plumbeo della società. Ma quel laboratorio, sotterraneo e «di parcheggio», sarebbe rimasto una pietra miliare sulla via della ricerca.

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