La «Carta del docente» è il bonus di 500 euro stanziato sin dai tempi della riforma chiamata «Buona Scuola». È stata ideata da Matteo Renzi, allora Pd e presidente del consiglio, per aggirare il problema dell’aumento dei salari. Fino a oggi è stata destinata solo agli insegnanti di ruolo. Domani potrebbe essere riconosciuta anche ai precari. Ma non a tutti. Il problema è emerso in una bozza del decreto legge «Salva infrazioni» proposta dal ministro agli affari europei, Sud e Pnrr Raffaele Fitto e approvato nella forma di «schema» dal Consiglio dei ministri del 7 giugno. Composto da 25 articoli dovrebbe servire ad agevolare la chiusura delle procedure d’infrazione dell’Europa contro lo Stato italiano ed evitare di incorrere in ulteriori sanzioni pecuniarie. Attualmente le procedure pendenti sono 82, la media europea è 66. Due riguardano la scuola. Un mondo dove si ricorre spesso a queste procedure per ottenere un minimo di giustizia negata dai governi.

Lo schema voluto da Fitto sulla «Carta del docenti» ai precari rischia di creare un altro paradosso. Una norma pensata per sanare migliaia di ricorsi che i sindacati della scuola, tra i primi Flc Cgil e Anief, hanno portato avanti e vinto, potrebbe generare altri ricorsi. La norma riconosce il bonus solo ai docenti precari con incarico annuale al 31 agosto, e non a quelli con contratto al 30 giugno o ai supplenti. Riguarderà più o meno 45 mila docenti su circa 200 mila precari. I quali potrebbero ricorrere ancora al giudice con alta probabilità di vittoria perché la modifica non è completamente in linea con la prevalente giurisprudenza del lavoro.
«Questa legge è frutto dell’impegno dei sindacati su questa partita, i tanti ricorsi hanno spinto il ministero a intervenire ma non risponde a quella platea che ha diritto alla carta docenti – spiega Manuela Pascarella del Centro Nazionale Flc Cgil – noi abbiamo vinto ricorsi con personale al 30 giugno e abbiamo avuto casi di sentenze positive su supplenze brevi, questo perché il principio che non va derogato è che bisogna avere pari diritti a pari lavoro».

Giusto martedì scorso è arrivata un’altra sentenza a favore della Flc Cgil di Reggio Emilia che ha ottenuto 114 mila euro in totale per i settantasei precari a cui ha dato assistenza. «Tanti singoli ricorsi insieme sono diventati azione collettiva per il riconoscimento del lavoro svolto dalle persone» dicono. In totale la Flc Cgil ha portato avanti 10 mila ricorsi su tutto il territorio nazionale. Sempre martedì il Tribunale di Pescara dava ragione ai legali Anief che avevano presentato un ricorso in difesa di una docente. «Sono migliaia le sentenze favorevoli alla nostra tesi che vuole fare avere la Carta del docente anche ai precari: l’Ordinanza 450/22 della Corte di Giustizia europea e il Consiglio di Stato ci danno piena ragione» dicono dall’Anief.

«Ci sono volute le sentenze per arrivare a questo punto, che è buono ma non basta: noi proseguiremo l’iniziativa per tutti i precari, le risorse vanno assegnate agli insegnanti in quanto tali” aggiunge Alessandro Rapezzi della segreteria nazionale della Flc Cgil. «Renzi all’epoca ha fatto operazione tipica della sua impostazione: delegare la formazione degli insegnanti alla loro responsabilità e non a quella dello Stato, erogando un bonus che è diventato oggettivamente un pezzo di salario – continua Rapezzi – ora però dobbiamo aprire una discussione sul riconoscimento del lavoro dei docenti e di tutto il personale della scuola. Il tema della formazione sarà un pezzo fondamentale da affrontare nella prossima tornata di discussione sul contratto».

L’altra norma sulla scuola nel «salva Infrazioni» riguarda la modifica del decreto legislativo 297/94 sulla ricostruzione di carriera per il personale docente e per il personale Ata e Afam. Anche su questo punto c’è perplessità da parte dei docenti perché da settembre ad essere valutato sarà solo il servizio di insegnamento effettivamente prestato, cancellando il meccanismo che permetteva la valutabilità come anno scolastico intero dopo aver raggiunto 180 giorni di servizio. Potrebbe portare a disparità di trattamento. E a nuovi ricorsi.