Nei numerosi articoli che la stampa nazionale ha dedicato alla scomparsa di Eduardo Galeano manca qualsiasi cenno ad un’esperienza significativa della sua vita e della sua poliedrica attività.

Ci riferiamo alla partecipazione attiva di Galeano al Tribunale Russell II sull’America latina organizzato e presieduto da Lelio Basso agli inizi degli anni ’70, le cui tre sessioni si sono tenute dal 1974 al 1976. La convinta adesione di Galeano agli obiettivi e al metodo del Tribunale Russell II lo indussero a proseguire il proprio impegno anche nella giuria del Tribunale permanente dei popoli (TPP), che Basso aveva voluto come prosecuzione del Tribunale Russell e che vide la luce nel giugno del 1979 a Bologna, pochi mesi dopo la scomparsa dello stesso Basso.

Eduardo Galeano non è solo uno dei protagonisti più originali della letteratura latinoamericana, ma anche e soprattutto il creatore di una visione del mondo capovolta, «patas arriba», a testa in giù, che non accetta la dipendenza dalla logica reiterata del mercato e delle guerre. Forse spetta al TPP e alla Fondazione Lelio e Lisli Basso evidenziare un aspetto ulteriore che completa il profilo di questo grande amico e compagno di oltre quarant’anni di lotte e cammini. Dalla sua fondazione il TPP ha avuto il privilegio di avere Eduardo tra i suoi membri più attivi, non solo come presenza nei lavori della Sessione, ma piuttosto come colui che sapeva sovrapporre agli aspetti tecnici e politici del Diritto internazionale la sfida fondamentale di recuperare una memoria «de fuego y de viento», simile a quella che lui ha cercato di restituire con le sue «palabras andantes» ai popoli dell’America Latina e del mondo. I due testi che si allegano a questo piccolo ringraziamento per tutto ciò che Eduardo ci ha donato – che fanno riferimento alla sua «visione» delle Politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale e della Conquista dell’America Latina e il Diritto internazionale, due lavori centrali del TPP realizzati a fine anni ’80 e inizi ’90.
Salvatore Senese e Gianni Tognoni (Presidenza e Segreteria Generale del Tribunale Permanente dei Popoli)

Luciana Castellina: “Questo è il discorso conclusivo del processo che il Tribunale dei popoli celebrò a Berlino nel 1986: era la prima volta che imputato non era solo un governo, ma istituzioni internazionali, le più importanti:il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale che, in quegli stessi giorni, tenevano nella non ancora capitale tedesca i loro summit. La partecipazione dei berlinesi fu straordinaria, a migliaia collaborarono a rendere possibile le udienze e la partecipazione dei testimoni di accusa che arrivavano in aereoporti ancora collocati al di qua e al di là del Muro.Fra loro personaggi nel frattempo diventati celebri, come una giovanissim Vandana Shiva, che aveva appena abbandonato per protesta il suo qualificato posto in seno alla Banca mondiale, o Aloysio Mercadante, allora sindacalista brasiliano, poi ministro con Lula.. Persino il prof.Triffin che accettò il ruolo di avvocato difensore delle due istituzioni ( un difensore critico, ovviamente). E ancora economisti e contadini, deputati ed operai. Fu, quell’evento, a dare il via ad un movimento che negli anni successivi diventò grandissimo, quello dei “no global”, che avevano colto la nuova dimensione dell’oppressione. Possiamo ben dire che fu Galeano a tenerlo a battesimo”.

Essi possono più dei re e dei signori e più dello stesso Papa di Roma. Onorevoli filantropi, praticano la religione monetarista, che adora il consumo nel più alto dei suoi altari. Non si sporcano mai le mani. Non uccidono nessuno: si limitano ad applaudire lo spettacolo. Le loro imposizioni si chiamano raccomandazioni. Le intimidazioni le chiamano lettere di intenti. Quando dicono «stabilizzare», vogliono dire: rovesciare. Chiamano austerità la fame e cooperazione l’aiuto che la corda offre al collo.

I grandi banchieri e i maggiori tecnocrati del mondo si sono riuniti a Berlino alla fine di Settembre. Immense manifestazioni di protesta si sono succedute, giorno dopo giorno, durante l’assemblea del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Contro il terrorismo del denaro hanno risuonato i tamburi dell ‘indignazione popolare, tormentando orecchie più abituate alle litanie dei mendicanti con colletto e cravatta. Parallelamente, all università si è riunito un tribunale simbolico, composto dai premi Nobel Adolfo Perez Esquivel e George Wald e da vari giuristi, uomini di scienza, artisti, politici, ecologisti e attivisti peri diritti umani. Davanti a loro, davanti a noi hanno testimoniato le vittime dei banchieri, arrivate da diversi paesi del Terzo Mondo. Le ¡oro denunce non hanno suonato su campane di legno.

Le vittime: Quanto più pagano, più devono/ Quanto più ricevono, meno possiedono/Quanto più vendono, meno incassano/ Impiegano sempre più ore di lavoro per guadagnare sempre meno/ impiegano sempre più prodotti propri/per ricevere sempre meno prodotti altrui.

Il vescovo Eamonn Casev ci ha raccontato che in Irlanda la crisi finanziaria attuale impoverisce i poveri, rovina il servizio sanitario, l’educazione pubblica e i servizi sociali, e Andrea Szego, dell ‘Accademia delle Scienze di Ungheria, ci ha detto che i paesi dell’est Europa non sfuggono alla trappola del debito. Ha indicato il pericolo di destabilizzazione politica dell’est e ci ha parlato di un possibile «socialismo prigioniero» della gabbia del Fondo Monetario. Ma sono i paesi sottosviluppati, storicamente travolti dallo sviluppo degli sviluppati, a essere stati condannati alla schiavitù per debiti. Su di loro la polizia finanziaria internazionale vigila e comanda: fìssa abitualmente il livello dei salari e della spesa pubblica, gli investimenti e i disinvestimenti, gli interessi, i dazi doganali, le imposte interne e tutto il resto, eccetto l ’ora in cui sorge il sole e la frequenza delle piogge. I trafficanti vendono la droga ma non la consumano. I paesi ricchi, che impongono ai poveri la libertà di mercato, praticano il protezionismo più rigoroso. Gli Stati Uniti sono il paese che più deve, nel mondo. Il loro debito estero equivale, quasi, a quello di tutta l’America Latina.

Ma essi non applicano la ricetta del FMI per la semplice ragione che il FMI, come la Banca Mondiale, gli appartengono: hanno il venti per cento dei voti, e ciò equivale al diritto di veto.

Nello stesso modo, e come dice una vecchia e veritiera barzelletta, negli Stati Uniti non ci sono golpes militari perché lì non c’è l’ambasciata degli Stati Uniti. La febbre guerriera del presidente Reagan ha impoverito molta gente, in quel paese, ma un’operaia di una fabbrica di Chicago ancora guadagna in un’ora quello che una cuoca di Lima guadagna in un mese. Che succederebbe se il FMI consigliasse di stringere la cinghia? André Gunder Frank ci ha risposto: «Il Congresso degli Stati Uniti respingerebbe con alte grida questa inaccettabile violazione della sovranità».

«Il debito estero è una questione di sovranità», ci ha detto l’economista filippino Manuel Montes, parlando di un paese che destina circa la metà delle sue esportazioni al pagamento degli interessi della fortuna che si portò via il dittatore Marcos. Il governo democratico argentino, che ha ereditato dalla dittatura militare un debito moltiplicato per sei, discute la previsione di bilancio nazionale con il Fondo Monetario a Washington, prima di sottoporlo al potere legislativo a Buenos Aires. Anche Alfredo Eric Calcagno ha denunciato che negli attuali contratti di debito l’Argentina rinuncia esplicitamente alla sua immunità di Stato sovrano, consacra l’usura e regala settecento milioni di dollari di imposte annuali. A Berlino, davanti al tribunale. Calcagno si è chiesto fino a quando la candida Erendira continuerà ad obbedire alla sua nonna senz’anima.

«Ci insegnano che non possiamo essere padroni del nostro destino – ci ha spiegato David Abdulah, sindacalista di Trinidad e Tobago -. Così, i paesi ricchi possono esportare tranquillamente la loro crisi e finanziare la loro modernizzazione. Il debito estero sta finanziando la seconda rivoluzione industriale in occidente». Togba Nah Ttpoteh è stato ministro in Liberia, e presidente del gruppo africano dei governatori del Fondo Monetario e della Banca Mondiale. «È il nuovo colonialismo – ci ha detto. In che consiste la loro politica nel mio paese? Consiste nel ridurre i costi di produzione delle imprese multinazionali e aumentare i loro tassi di profitto». L’ex – ministro della Pianificazione in Tanzania Abdulrahman Babu ci ha detto che questa politica implica crimini «peggiori di quelli del colonialismo». I tecnici del suo paese stimano in cento milioni di dollari al giorno, niente di meno, il contributo che l’Africa porta, per le vie diverse, alla prosperità dell’Occidente.

In Perù la sfida del presidente Alan Garcia non è andata più in là della retorica, e oggi egli sta applicando la devastante formula di stabilizzazione del FMI. Nella sua esposizione, Javier Mujica, consigliere dei sindacati peruviani, ha affermato che agli organismi finanziari internazionali bisognerebbe applicare la norma giuridica internazionale che definisce e condanna il genocidio. Tutti pagano quello che pochi spendono.

[do action=”quote” autore=”Eduardo Galeano”]Per pochi, la festa. Per tutti gli altri, i piatti rotti.[/do]

Si privatizzano i profitti, si socializzano le bancarotte. Il popolo finanzia la repressione che lo colpisce e lo sperpero che lo tradisce. I prestiti internazionali diventano debito estero dei paesi e in forma di capitale trafugato dai padroni dei paesi: milionari latino-americani, per esempio, la cui capacità di sperpero provoca incurabili complessi di inferiorità agli sceicchi arabi; o dittatori qualsiasi. La finanza internazionale si preoccupa della libertà del denaro, non della libertà delle persone. Quando si riferisce al generale Pinochet il Financial Times fatica a nascondere la bava.

Tra poco la Dichiarazione Universale dei diritti umani compirà quarant’anni, e non sarebbe sbagliato ricordarlo a chi ricompensa i colpi di stato erogando generosi flussi di dollari ai generali che abbattono i costi di produzione mediante il violento crollo dei salari operai. Le dittature militari di Argentina, Cile ed Uruguay ricevettero numerose dichiarazioni d’amore e consistenti prestiti, e cosi moltiplicarono il debito estero dei loro rispettivi paesi. Il debito estero del Brasile crebbe trenta volte, negli anni della dittatura militare. La Banca Mondiale e il FMI elogiarono con il massimo entusiasmo «la politica modello» del vorace Marcos, nelle Filippine. In Zaire, Mobutu ha ricevuto quanto ha chiesto, e ha rubato quanto ha ricevuto. Qualche giorno prima della sua fuga, mentre cadevano le bombe sul popolo dei Nicaragua, tra le mani di Somoza continuava ad arrivare il denaro del Fondo Monetario Internazionale. Poi, il paese svuotato dovette farsi carico di questi regali di addio e dei molti prestiti concessi a Somoza per fare guerra contro il suo paese e rubare ciò che rimaneva. Invece adesso il Nicaragua non riceve un centesimo. È diventato, per la finanza mondiale, un paese paria.

L’ambasciatore Carlos Arguello ci ha letto una lettera rivelatrice. Il 30 Gennaio del 1985, lo statunitense George Shultz ordinò al messicano presidente del Banco Interamicano de Desarrollo di cancellare un credito già concesso al Nicaragua, il credito fu cancellato. Per i governi del Terzo Mondo che vogliono trasformare la realtà invece che amministrarla, viene chiusa la borsa. Non c’è che da ricordare quella frase di Henry Kissinger, al tempo di Salvador Allende: «Faremo sì che la economia cilena urli di dolore».

Attraverso il prestito, la tecnocrazia impone un modello di sviluppo estraneo alle necessità reali di ogni paese, che promuove il consumo artificiale e stimola un modo di vita importato, spreca le risorse naturali, idolatra la moneta e disprezza la gente e la terra. a parlato Vandana Shiva e per bocca sua ha parlato l’India: «Il FMI, la Banca Mondiale e il loro concetto di sviluppo hanno violato la mia integrità, essi hanno fatto dello sviluppo una parola sacra, ma in nome dello sviluppo hanno violato i cicli e le leggi della natura, hanno distrutto boschi e creato deserti, hanno avvelenato il mio suolo, la mia acqua, la mia aria. La medicina di Bretton Woods sta uccidendo l’India». I progetti per stimolare le esportazioni del Brasile, con finanziamento diretto o con la luce verde di questo organismo, stanno spianando la foresta amazzonica e sterminando indigeni. Secondo quanto ci ha detto padre Angelo Pansa, che vive nella regione: l’anno scorso le grandi imprese multinazionali hanno attaccato uno spazio delle dimensioni della Germania Federale. Analoga testimonianza ci è stata offerta da Ana Maria Fernandez, per il Paraguay: «La Banca Mondiale sta finanziando progetti di sviluppo che implicano un etnocidio contro le comunità indigene».

Dal punto di vista dominante, sviluppo equivale a esportazione, allo stesso modo in cui cultura equivale a importazione. Da fuori, dai grandi centri metropolitani, vengono, a prezzi carissimi, le idee e i simboli che danno prestigio e potere, mentre sul mercato mondiale si vendono prodotti economici e braccia economiche. L’africano Ahdulrahman Habu ci ha raccontato l ‘Etiopia, dove un milione di persone sono morte di fame, vende carne all’Inghilterra. L’economista Aloysio Mercadante ha osservato che il Brasile è il quarto esportatore mondiale di alimenti, ma due su tre brasiliani mangiano meno del necessario. Lo sviluppo, sviluppo verso l ’esterno, dissimula le sue feroci contraddizioni negli schemi astratti nel feticismo dei numeretti. Davison Budhoo, che ha rinunciato al suo alto incarico nel FMI, ci ha fatto notare i rischi della sacralizzazione di certi indici economici come il prodotto nazionale lordo: il PNL della Nigeria è, in proporzione alla popolazione, quattro volte maggiore di quello della Tanzania, ma la Tanzania ha meno analfabetismo e meno mortalità infantile della Nigeria, e ha più aspettativa di vita, più letti d’ospedale e più donne all’università. Il sacerdote gesuita Xabier Gorostiaga ci ha fatto notare, con ragione, che la violenta e disperata crisi in America Centrale è esplosa in una regione che dal 1050 fino al 1978 aveva ostentato gli indici di crescita economica più alti del mondo. In questi ventotto anni, l’America Centrale ebbe, nelle statistiche, il maggior sviluppo regionale di tutta la storia economica dell ‘umanità. Le statistiche se la passavano molto bene, la gente, invece, molto male.

Chi fa ammalare, vende la medicina. Improbabile medicina, questo salasso che dice di curare l’anemia. Il rimedio è un altro nome della malattia. Nuovi prestiti pagano i vecchi prestiti e il debito si moltiplica misteriosamente. Tra il 1973 e il 1985, il Brasile pagò abbastanza di più di ciò che aveva ricevuto, ma nel 1985 il Brasile doveva nove volte di più che nel 1973. La Citybank, che ha il sei per cento dei suoi investimenti in Brasile, riceve dal Brasile, il 25 per cento dei suoi profitti mondiali. In Argentina e Messico, la maggior parte del debito corrisponde a denaro che non è mai entrato in quei paesi. Il denaro svanì prima di arrivare, per arti magiche, lungo il cammino. Riferendosi alle arti da giocoliere dei banchieri, Paulo Schilling ci ha descritto un tipico paradiso fiscale, l’isola del Gran Cayman, nel mar dei Caraibi, che ha 21.000 abitanti: laggiù operano 17.500 imprese finanziarie multinazionali. Tutti i testimoni che abbiamo ascoltato a Berlino hanno concordato nell’attribuire piaghe e peste al Fondo Monetario e alla sua sorella gemella, la Banca Mondiale: rovina della moneta, caduta dei salari e del tenore di vita popolare, liquidazione del servizio sanitario e dell‘educazione pubblica, distruzione della natura. Ma i paesi ricchi usano di solito il FMI per tirare il sasso e nascondere la mano, e spesso i governi del Terzo Mondo invocano questo satanico super padre per giustificare la propria impotenza: «Il Fondo non lo permette… ». Per gli uni e per gli altri, il FMI opera come un perfetto alibi. «È tutto il sistema sotto processo, e non solo le sue istituzioni finanziarie », ci ha avvertito Yash Tandon, dello Zimbawe. in realtà, il Fondo Monetario e la Banca Mondiale non sono più che ingranaggi di un sistema mondiale di potere. Questo sistema, che sta giocando pericolosamente alla roulette russa della speculazione sfrenata, ruba con una mano molto più di ciò che presta con l’altra. Nella sua relazione del 6 Agosto del 1987, il segretario generale delle Nazioni Unite afferma che nel 1986 i paesi poveri hanno perso 94.000 milioni di dollari per il deterioramento dei prezzi nel commercio con i paesi ricchi. I prodotti del cosiddetto Terzo Mondo stanno ricevendo, nel cosiddetto mercato Internazionale, i peggiori prezzi dell ‘ultimo mezzo secolo.

Sì, il FMI è uno strumento. È formato da 150 paesi, ma i dieci paesi più ricchi del mondo dispongono di più della metà del voti. La grande finanza internazionale è un monopolio di potere, una dittatura del nord sul sud. Ma questo carattere strumentale, al servizio di un sistema maggiore, non implica innocenza. La tecnocrazia suole rivendicare il privilegio della irresponsabilità. Il tecnico, il tecnocrate, fa lo gnorri, Tuttavìa, benché nelle lettere di intenti non figurino esplicitamente la concentrazione della ricchezza, nè lo smantellamento della sovranità nazionale, tutto questo è implicito. E benché sia vero che i desaparecidos e i torturati non sono menzionati nei piani di risanamento, è anche vero che ne sono la conseguenza naturale. Quelli che programmano il sacrificio dei salari non sono innocenti della conseguente repressione contro il movimento operaio.

La ricetta del FMI richiede un prezzo di sangue e fuoco e i tecnocrati fanno parte, in questo senso, della stessa squadra dei torturatori, dei boia e degli inquisitori. Credo che non sia troppo ricordare questa responsabilità della tecnica e della scienza. Infine e col dovuto rispetto, non posso non segnalare una casualità, forse significativa: questa riunione, la nostra riunione, è stata celebrata a pochi metri dal luogo in cui Joseph Mengeie faceva i suoi esperimenti, in nome della scienza, con bambini portati dai campi di concentramento.