Donatella Trombadori pubblica nel 2006 Villa Strohl-fern: note esplorative del settembre 1961 di Paul Michel Villa, giornalista dell’Agence France-Presse, che nel 1957 dava inizio ad un suo lungo soggiorno a Roma e, almeno fino al 1962, abita nel parco di Villa Strohl-fern, che si estende accanto a Villa Borghese, a pochi passi da piazza del Popolo. Si tratta di appunti nei quali egli descrive il luogo straordinario dove ebbe la fortuna di vivere durante quelli che sarebbero stati gli ultimi anni, prima degli scempi, nei quali quella collina conservava ancora testimonianza dell’impresa di Alfred Wilhelm Strohl. Costui, rampollo d’una famiglia alsaziana assai ricca, quando nel maggio del 1871, firmato l’armistizio a Francoforte che concludeva la guerra tra Francia e Prussia e sanciva la cessione dell’Alsazia ai tedeschi, il giovane Alfred lascia per sempre la terra natia.

Temperamento d’artista, (letterato, pittore, musicista, scultore, poeta) gira il mondo finché non giunge a Roma. Nel 1879 acquista una vastissima proprietà al Monte Pariolo, là dove, all’epoca della Repubblica Romana del 1849, i francesi avevano distrutto «un Casino di campagna opera del Valadier che si levava quasi sulla sua sommità» e, come racconta Antonello Trombadori, Strohl «sul perimetro di quel Casino costruì la sua dimora». Quella collina avrebbe trasformato, scrive Villa, «in una sorta di paradiso per artisti, edificando per loro piccoli alloggi e studi per lavorare. L’intenzione era quella di farne una nuova Tebaide, piccola repubblica delle arti e delle lettere di cui lui sarebbe stato il signore e il mecenate». Aveva allora Alfred poco più di trent’anni e decise di aggiungere al cognome l’aggettivo fern, «lontano». E a Trombadori par giusto riflettere: «sempre si è detto che egli in tal modo volle alludere alla sua lontananza dal natio borgo dopo la vittoria prussiana di Sedan. Ma io, man mano che riesco ad afferrare qualche brillio della sua dimenticata persona, penso che egli volle anche dire Alfred Wilhelm Strohl ‘lontano dal mondo’».

E ci porta proprio lontano dal mondo l’escursione di Villa tra gli alberi e i prati d’una natura intatta e lussureggiante che mai potresti immaginare presente e viva nel cuore della grande città che è come svanita, resa invisibile dal folto del verde e i suoi rumori nemmeno percepiti tanto arrivano spenti. Del resto, ci ricorda il giornalista francese, lo spirito della Villa fu colto perfettamente da Rainer Maria Rilke che vi abitò nel 1903 (o nel 1904?), nella «piccola casa rossa» isolata in fondo al parco, che raggiungeva per un sentiero scosceso sotto i pini e le querce, quando scriveva a Lou Andreas Salomè «là io voglio provare ad organizzare la mia vita… che siano i giorni della ‘pace del giardino’».

E ancora: «è un pomeriggio di primavera tanto in equilibrio si tiene il leggero, agile vento che le foglie secondano, le splendide foglie dell’alloro e l’indistinto fogliame del querceto (…) le notti sono ancora appena fresche e la loro voce è l’ininterrotto gracidio delle rane. Le civette gridano raramente e l’usignolo non ha ancora cominciato». Paul Michel Villa riporta nelle sue Note quanto apprende da un antico ospite di Villa Strohl-fern relativamente agli uccelli che abitano, ancora nel 1961, quel mondo arboreo. Falconi, civette, allocchi e merli («a decine sono i primi a fischiare la mattina e vanno avanti così tutto il giorno»); pettirossi, lucherini, capinere, cinciallegre, rondoni, usignoli. E i voli dei pipistrelli al crepuscolo. Cardellini, gazze, picchi. Elenca poi Villa gli scoiattoli, i gatti e i cani e le lucciole, miriadi di lucciole a levitare lente e leggere sotto le magnolie e i pini, oltre il boschetto di bambù.

Aggiungo un’ultima citazione: «Era un paradiso nascosto. Forse l’ultimo dei paradisi naturali di Roma. ‘A Roma si ascolta il ruggito dei leoni’ diceva Carlo Levi, ospite della Villa. Qui si poteva sentire davvero la rauca voce dei leoni salire lenta e possente nel silenzio della notte al di là dei grandi alberi dove si trovava il giardino zoologico. A quel punto tutti gli uccelli notturni facevano silenzio. Un effetto magico»