Risuonano ancora in Alberta le parole con cui papa Francesco ha ammesso le responsabilità di molti cristiani che, nelle 139 scuole residenziali attive dal 1830 al 1996 (66 gestite da enti cattolici), hanno collaborato con il governo canadese all’azione di omologazione forzata e violenta alla cultura bianca, occidentale e cristiana di oltre 150mila bambine e bambini indigeni strappati alle proprie famiglie: un «dolore incancellabile provato in questi luoghi da tanti all’interno di istituzioni ecclesiali» che genera «rabbia e vergogna».

Dopo la visita all’ex scuola Ermineskin di Maskwacis e al cimitero – dove è stato spiegato uno striscione con i nomi di migliaia di bambini mai più tornati nelle proprie case e i cui corpi sono stati ritrovati in fosse comuni presso le stesse scuole -, mentre in Italia era notte fonda, il pontefice ha fatto visita alla parrocchia del Sacro Cuore di Edmonton, dove ha ribadito l’intento «penitenziale» del proprio viaggio in Canada.

«Anche nella Chiesa al grano buono si mescola la zizzania», ha detto Bergoglio. «Proprio a causa di questa zizzania ho voluto intraprendere questo pellegrinaggio penitenziale e cominciarlo facendo memoria del male subito dalle popolazioni indigene da parte di tanti cristiani e chiedendone perdono con dolore. Mi ferisce pensare che dei cattolici abbiano contribuito alle politiche di assimilazione e affrancamento che veicolavano un senso di inferiorità, derubando comunità e persone delle loro identità culturali e spirituali, recidendo le loro radici e alimentando atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori».

Oggi nuova tappa, al lato opposto del Canada, in Quebec, per incontrare altri rappresentanti dei popoli indigeni. Venerdì, prima di rientrare in Vaticano, Francesco dialogherà con alcuni sopravvissuti delle scuole residenziali cattoliche, a Iqaluit. Le aspettative sono tante, anche che Bergoglio vada oltre le pur importanti scuse. «Spero che si tratti di scuse che riconoscano il ruolo della Chiesa nell’intero processo di colonizzazione e non solo le colpe di alcuni cattolici», spiega ad America (settimanale dei gesuiti Usa) suor Priscilla Solomon, impegnata nel percorsi di riconciliazione tra indigeni e “colonizzatori”. E da molti sopravvissuti si leva una richiesta chiara: gli enti ecclesiastici aprano gli archivi, perché si possa conoscere tutta la verità e rendere giustizia alle vittime.