Ad attendere il papa oggi a Bangui ci sono veicoli corazzati e carri armati francesi e dell’Onu ,oltre alle migliaia di cattolici del posto e dalla Repubblica Democratica del Congo che hanno attraversato il fiume Ubangi a bordo di piccole imbarcazioni. In sfida aperta e coraggiosa alla minaccia delle milizie locali dei Seleka, degli Anti-Blaka e non c’è da escludere a quella del Lord’s Resistance Army (Lra) che dall’Uganda ha esteso i suoi attacchi in Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana.

Da Bangui – prima che da Roma – Francesco aprirà oggi la porta santa per il Giubileo della misericordia, a cui seguirà la visita alla moschea del distretto Pk5, enclave musulmana dove, dopo mesi di relativa calma, sono ricominciati gli scontri tra le milizie a a maggioranza cristiana (Anti-Balaka) e quelle a maggioranza musulmana (Seleka) che secondo Human Rights Watch hanno fatto almeno 100 morti dalla fine di settembre ad oggi.

Sono tra i 3,000 e i 4,000 i soldati della missione Onu nella Repubblica Centrafricana (Minusca) schierate per le strade, a cui si aggiungono i 500 poliziotti e gendarmi del governo centrafricano e i 900 soldati allertati della Francia. Mentre al passaggio del pontefice nuovi droni di sorveglianza e palloncini di osservazione voleranno nei cieli sopra Bangui.

In un clima fortemente teso, resta forte l’attesa per la visita di un papa che non esita a porsi fuori da ogni protocollo nel portare un messaggio aperto ai bisogni più urgenti delle popolazioni civili soprattutto di quelle ai margini della società. Un’aspettativa in parte disattesa in Uganda, dove se da un lato Francesco non ha mancato di pronunciarsi sui rifugiati dall’altro – ancora mentre scriviamo – non una parola è giunta ai gruppi Lgbt in risposta al loro appello ad essere ricevuti e a quanti tra omosessuali e transgender (costretti alla clandestinità in un Paese conservatore come l’uganda) gli chiedevano parole di denuncia contro le leggi omofobiche (che prevedono dure pene detentive tra cui il carcere a vita) e le persecuzioni subite in società.

Appena atterrato a Entebbe venerdì sera, il papa ha lodato l’Uganda per i suoi sforzi eccezionali verso i migranti: «Qui in Africa orientale, l’Uganda ha dimostrato eccezionale preoccupazione per l’accoglienza dei rifugiati, consentendo loro di ricostruire le loro vite in sicurezza e di percepire la dignità che viene dal guadagnarsi da vivere attraverso il lavoro onesto». E ancora: «Il nostro mondo, coinvolto in guerre, violenza e varie forme di ingiustizia, è testimone di un movimento senza precedenti dei popoli». Far fronte a questo rappresenta «un test della nostra umanità, del nostro rispetto della dignità umana, e, soprattutto, della nostra solidarietà con i nostri fratelli e sorelle nel bisogno».

Secondo l’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) l’Uganda ospita circa mezzo milione di rifugiati, la maggior parte delle quali fuggite ai conflitti e alle violenze nella vicina Repubblica Democratica del Congo, del Burundi e del Sud Sudan. Parole amplificate in un momento in cui l’Europa stenta a far fronte al più grande afflusso di migranti in fuga dalla Siria e da altre parti del Medio Oriente e dell’Africa.

D’altro canto a «politicizzare» ulteriormente il viaggio apostolico del papa in Uganda è stato l’incontro in privato di 15 minuti con il presidente del Sud Sudan – il più giovane stato del mondo resosi indipendente dal Sudan nel 2011 – Salva Kiir giunto a sorpresa nel Paese per incontrare Francesco. Kiir è sotto la pressione della comunità internazionale per porre fine a una guerra civile che ha ucciso più di 10.000 persone, costretto più di 2 milioni di persone a lasciare il paese e ha portato gran parte della popolazione alla fame.

Il Sud Sudan è dal dicembre 2013 afflitto dalla guerra civile innescata da una controversia politica tra Salva Kiir e il suo vice Riek Machar. L’invio di truppe ugandesi in sostegno del governo di Giuba, ha rischiato di trasformare la guerra civile in un conflitto regionale.