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Il panorama delle aziende romane tra commissari, debiti e scandali

Il panorama delle aziende romane tra commissari, debiti e scandaliIl Campidoglio

Campidoglio I dossier del Radicale Riccardo Magi

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 27 febbraio 2014

Ritirato il decreto Salva Roma, la Capitale rischia il default e una gestione commissariale che potrebbe avere gravi conseguenze sulla vita dei cittadini e della città e costringere il sindaco Ignazio marino a archiviare ogni programma di cambiamento promesso.

Ma non tutti si ricordano che Roma una gestione commissariale per il debito già la ha. Nel 2008 con Gianni Alemanno alla guida del Campidoglio si decide un’operazione di “finanza creativa”: il governo con il decreto 112/2008 crea un unicum giuridico e evita al comune di Roma di dichiarare il dissesto affidando tutto il debito precedente al 2008 nelle mani di una gestione commissariale. Parliamo di circa 20 miliardi, un debito che, secondo i calcoli più ottimistici, al ritmo attuale sarà estinto nel 2048. La prima relazione è stata depositata alle camere nell’aprile 2013 dal commissario Massimo Varazzani, uomo forte dell’ex ministro Tremonti già presidente della Cassa depositi e prestiti.

Nonostante il peso del debito, l’azzeramento virtuale del deficit nel 2008 poteva essere per Roma l’occasione di ricominciare da capo, tenere i conti in ordine e ristrutturare le voci di spesa. Ma nel 2008 arriva anche la crisi in Europa e in Italia, con i tagli dei trasferimenti agli enti locali e poi il patto di stabilità. E così la capitale si trova ad oggi ad avere un nuovo debito “corrente” di un miliardo di euro.

Non solo: Riccardo Magi, consigliere radicale eletto nella lista civica di Ignazio Marino, spiega: «I partiti hanno continuato a usare le municipalizzate e il comune come un bancomat invece di mettere mano alla governance e tagliare dove c’è da tagliare, senza arrivare a privatizzare o a vendere le municipalizzate». Sul sito OpenCampidoglio Magi ha cominciato a pubblicare alcuni dossier che mettono in luce i guai e il dissesto delle oltre 70 aziende partecipate o al 100% a capitale pubblico di Roma. Si parte da Farmacap, che gestisce le 43 farmacie comunali e i servizi sociosanitari per le categorie più deboli. Dopo una giravolta di poltrone e commissari nel bilancio del 2013 si arriva a una ricapitalizzazione per ben 15 milioni, per far fronte a perdite ingenti, solo per il 2011 parliamo di 10 milioni e quasi 5 per il 2012. Un buco di bilancio dovuto, secondo la stessa azienda che ha commissionato una due diligence a una società esterna, a sprechi, affitti e costi di ristrutturazione esorbitanti, grossolani errori di bilancio. Un’azienda relativamente piccola Farmacap, soprattutto se confrontata con un gigante come l’Ama, che si occupa della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti anch’essa passata sotto la lente da OpenCampidoglio. Se l’azienda registra un minimo di utile aumenta costantemente lo scoperto della municipalizzata verso Roma Capitale e verso gli enti di credito, inoltre le risorse impiegate per l’implemento della differenziata non danno i loro frutti e discariche e inceneritori continuano ad arricchire la lobby dell’immondizia.

La situazione si fa tragica quando si arriva al trasporto pubblico locale. Atac ha accumulato 700 milioni di debiti, 179,2 solo nel 2011 e addirittura 319,1 milioni di perdita del 2010. Una parte della voragine di bilancio sarà assorbita dalla gestione commissariale (circa 150 milioni) mentre un contributo importante arriverà dai trasferimenti della Regione Lazio per i trasporti (si parla di circa 130 milioni). Ma sul piatto rimane una cifra gigantesca, per un’azienda che ha più amministrativi che autisti, travolta dallo scandalo di parentopoli e al centro dell’inchiesta sui biglietti che sarebbero stati stampati in nero e il cui ricavato, secondo gli inquirenti, avrebbe gonfiato per anni le tasche di dirigenti e politici.

Intanto a pagare per il dissesto sono gli utenti e i lavoratori, costretti a contratti precari e agli straordinari di fatto obbligatori per garantire il servizio pubblico. Ma a tremare sono soprattutto i lavoratori di tutte le aziende che non svolgono un servizio pubblico, ma che in house gestiscono per il comune voci importanti. Parliamo di strutture – come Zètema, responsabile per i musei e gli eventi culturali – che contano centinaia di impiegati e già in stato di agitazione

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