Politica

Il Palazzo riempie l’attesa con il record di voti dispersi

Il Palazzo riempie l’attesa con il record di voti dispersiLe matite per votare per il presidente della Repubblica, sanificate di frequente – LaPresse

Dentro e fuori l'aula I giochi si fanno (se si fanno) altrove e i grandi elettori si sfogano sulla scheda. Transatlantico pieno, serve a poco l’ingresso a turni nell’emiciclo. Al terzo piano si rincorrono gli incontri

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 25 gennaio 2022

Niente, non succede niente. Piovono schede senza alcuna indicazione ma si manca anche il record storico delle bianche – alla fine sono 672, in passato sono state anche 100 in più – perché ci sono parecchi assenti e tanti annoiati che si divertono a votare gli amici. Alla camera il primo giorno delle votazioni per il presidente della Repubblica serviva per gli archivi e lì finisce, quando sono quasi le dieci di sera. Oggi e domani aspettiamo due repliche.

Roma e fredda e vuota e anche buia, sembra che l’unico spazio vitale sia quello all’interno di Montecitorio. Ma anche qui si consuma un movimento a vuoto, lentissimo e come previsto inutile. Le operazioni di voto durano sette ore, le chiamate di senatori, deputati e delegati regionali sono un po’ più veloci rispetto al programma ma lo spoglio assai più lungo. Questo perché i grandi elettori come a riempire il vuoto si divertono a scrivere sulla scheda nomi e soprannomi improbabili, alla fine vengono votate 104 persone teoricamente eleggibili – questo sì dovrebbe essere un record – e in più ci sono 49 schede nulle. Ottantotto voti dispersi, significa persone che hanno ricevuto solo un voto che quindi non viene conteggiato, tra questi non ci sono Amadeus, Bruno Vespa, il presidente della Lazio e mancato senatore Lotito, il conduttore radiofonico Giorgio Lauro, il chirurgo Ermanno Leo e il giornalista Sabelli Fioretti (questi ultimi habitué del voto presidenziale a perdere) perché ne hanno presi almeno tre. Si fa tardi anche perché bisogna aspettare le schede del seggio all’aperto, quello nel parcheggio che alla fine è servito appena a dieci elettori positivi o in quarantena (su 17 che si erano registrati). Per portare dentro l’urna “infetta” arriva un infermiere che prima di unire le schede alle altre si chiude nella stanza del governo, alla fine del Transatlantico, e le sanifica.

Nell’attesa si tratta di riempire il pomeriggio. Il Transatlantico si gonfia e si annoia, in una calca che rende abbastanza inutile l’ingresso a scaglioni dei deputati e senatori in aula visto che all’interno sono molto distanziati ma fuori siamo uno sull’altro. Intanto gli incontri politici avvengono al terzo piano del palazzo. Incontri non tutti fondamentali, ci si incontra anche per darsi un ruolo, per marcarsi e controllarsi. Salvini vede tutti senza mandato di nessuno. Va da Letta e una nota congiunta al termine parla di «incontro positivo». Ma vede anche Conte e appena è fuori i 5 Stelle, per strafare, annunciano che c’è «totale sintonia». Come ai vecchi tempi. Anche Conte vuole vedere tutti. Riceve Toti e Brugnaro, informano come se si trattasse di chissà che, incontra a un certo punto Antonio Tajani. Non è chiaro se su appuntamento o per caso, in un giro di porte che si aprono e chiudono a nascondere presunte chiacchiere decise. Poi c’è il telefono e quello è per Draghi.

Anche lui finisce in un gioco di rincorse. Trapelato (dalla Lega) che il presidente del Consiglio si era sentito (forse anche visto) in mattinata con Salvini, anche Enrico Letta e Giuseppe Conte hanno ritenuto di far sapere che loro non erano stati esclusi.

Succede tutto altrovi. Deputati, senatori e delegati regionali compressi nel palazzo con l’unico sfogo del piccolo cortile interno – dove una struttura di ferro e vetro avvicina gli spazi liberty allo stile di un bar di provincia – vagano rimbalzando informazioni. «Draghi finalmente ha capito che se vuole andare al Quirinale deve trattare, non può ascendere trasportato dalle ali della stampa estera», dice un deputato di maggioranza. Umberto Bossi è tra i primissimi a votare, lo portano in sedia a rotelle e deve farsi largo tra leghisti che vogliono una foto con lui. Vota e si fa spingere subito nell’area fumatori del cortile, gli prendono la mascherina e gli danno un sigaro. Arrivano a salutarlo prima il ministro D’Incà – «sono di Belluno» – poi Giorgetti e Bersani. Con un filo di voce il senatùr cala la sua profezia: Draghi può uscire alla fine.

Intanto Draghi ha preso la miseria di un voto, ma questo certo non conta. Hanno preso niente, uno o due voti, anche Casini e Amato, molto in pista. È uno spoglio che non parla o parla pochissimo. Dice che i voti degli ex 5 Stelle anti Draghi per Paolo Maddalena ci sono quasi tutti – 36 – che anche i tantissimi fan di Mattarella si sono contenuti – solo 16 voti – e che Pd, Leu e 5 Stelle sono più bravi del centrodestra a mantenere la consegna della scheda bianca. Gli altri sparpagliano una quarantina di voti su deputati e senatori leghisti o forzisti. Pure i grandi elettori di Iv si divertono, regalando voti al vicepresidente della camera Rosato o a un renziano toscano. Marta Cartabia che poteva contare solo sui cinque voti di Calenda e + Europa ne conta invece nove e Marco Cappato cinque. Silvio Berlusconi sette voti. Non era mai riuscito ad arrivare a tanto, il suo precedente record nelle presidenziali era cinque, nel 2006. Consolazione.

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