Internazionale

Il paese «normale» torna in piazza contro Macri

Il paese «normale» torna  in piazza contro MacriMilagro Sala, mostra Derechos En Foco, organizzata da Julián Athos, fotografo del Espacio Memoria y Derechos Humanos

Argentina Dal colpo di Stato militare del 1976 al 2017

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 21 marzo 2017

Da quando nel dicembre del 2015 Mauricio Macri si è insediato alla presidenza dell’Argentina molte conquiste sociali e politiche dell’ultimo periodo sono state soppresse. Per il Financial Times il compito di Macri era quello di far diventare l’Argentina «un paese normale», che nella loro logica significa farlo ritornare al neoliberismo e le politiche dell’esclusione. Dopo la terribile crisi economica e sociale, che nel 2001 affondò il Paese e lo costrinse a dichiarare il default, l’Argentina segnò un lungo periodo di espansione, prima con il governo di Néstor Kirchner, poi con i due mandati di Cristina Kirchner. Il recupero della struttura economica fu accompagnato dalla ripresa dell’occupazione che alla fine del mandato di Cristina si assestava sotto il 6%. I diritti, intesi in modo unitario, sociali, politici, civili e politici furono al centro delle politiche dei Kirchner. I processi ai militari coinvolti nella desaparición di persone durante la dittatura furono ripresi. Il sostegno delle Madri e le Abuelas de Plaza de Mayo indicavano che l’Argentina non era più quella di prima.

QUESTO AMPLIAMENTO dei diritti non fu ribaltato da un classico colpo di Stato. Il potere finanziario attraverso i media, i giornali e le riviste ha sistematicamente alterato i fatti e disseminato una contro-realtà che decontestualizza, ingigantisce o minimizza i fatti a convenienza, generando percezioni contraddittorie e confuse. La caduta dei governi in Argentina e in Brasile e la crisi che tiene in bilico il Venezuela sono le conseguenze di questa offensiva. Le grandi conquiste dell’ultimo decennio sono diventate lettera morta davanti alle scosse della «guerra economica» e le crisi finanziarie.

CON LA VITTORIA di Macri tutto cominciò ad essere demolito a forza di decreti presidenziali, senza rispettare nemmeno le procedure legali e democratiche. Il travagliato accordo raggiunto dai Kirchner per la ristrutturazione del debito fu cancellato dandola vinta ai hedge fund, i fondi avvoltoi, e indebitando il Paese per 15 miliardi di dollari. Così facendo furono anche ignorati i 9 principi per regolare la rinegoziazione del debito sovrano che l’Argentina riuscì a fare approvare dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2015.

IL SIMBOLO DI QUESTO arretramento è la detenzione di Milagro Sala, leader della Tupac Amaru, il movimento sociale e politico indigeno radicato nel nord ovest dell’Argentina. Incarcerata a gennaio 2016, senza alcuna prova né processo a suo carico, Milagro Sala rimane tuttora in prigione. A niente sono servite denunce e sollecitazioni avanzate dalle organizzazioni di diritti umani di tutto il mondo, Macri si ostina a non rispettare il diritto. Succede che la Tupac Amaru, con progetti sociali di ampio coinvolgimento popolare dei popoli originari, ha fatto che Milagro Sala si trasformasse in un pericolo per gli interessi politici ed economici al governo.

CON L’ARRIVO di Macri, tutti servizi pubblici privatizzati durante gli anni del neoliberismo: trasporti, luce, acqua, gas ecc., prima controllati e sussidiati, sono stati liberalizzati e riallineati al mercato, con aumenti che sono arrivati fino al 500%. Migliaia di posti di lavoro nel pubblico impiego sono scomparsi senza preavviso, solo nei primi 6 mesi di governo si sono persi 150 mila. L’organo che gestiva la Ley de medios, che limitava la concentrazione dei media e democratizzava l’informazione, elogiata dalle Nazioni unite e presa come esempio in molti paesi è stato commissariato. Mentre una legge ha stabilito una serie di procedure per limitare i processi migratori e la libera circolazione nella regione, prima solidarista e aperta all’unità latinoamericana.

IL 24 MARZO, sarà un nuovo anniversario dell’efferato colpo di stato del 1976 e anche su questa data Macri ha voluto mettere mano provando a spostare la ricorrenza. In questo caso però, il governo ha dovuto rinunciare e annullare il provvedimento di fronte alla massiccia risposta del Paese. Macri sa che se vuole ridurre i diritti dovrà imporsi con la forza. Operai in lotta, impiegati licenziati e il popolo mapuche sono stati i primi a subire sulla propria pelle il nuovo “protocollo” che regola le manifestazioni pubbliche. Ma di fronte al ritorno della violenza istituzionale, le forze democratiche e le organizzazioni di basse si sono rimesse in moto massicciamente e hanno occupato strade e piazze. Solo nelle ultime due settimane i docenti si sono astenuti dal lavoro per 7 giorni. Lo sciopero generale proclamato dalle centrali sindacali ha riscosso il 7 marzo un grande successo, tanto che ne è in programma un altro. Anche i piqueteros sono tornati decisi a bloccare ponti e autostrade. Forse Macri comincia a capire che questo, che per molti è solo l’inizio, è invece per lui l’inizio della fine.

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