Politica

Il Paese che sta con Rodotà

Montecitorio Tessere del Pd in fumo «Marini? E perché non Andreotti?». «L'Italia ha deciso, fate finta di non sapere»

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 19 aprile 2013

Dentro il “palazzo” la realpolitik ha già fatto carta straccia della candidatura di Stefano Rodotà, i dissidenti del Pd alla Pippo Civati che pure lo hanno votato al primo scrutinio hanno già «preso atto» che i consensi in favore del giurista «non possono crescere ancora»; forse perfino i parlamentari dell’M5S prima o poi cederanno. Ma fuori, in piazza Montecitorio, i cittadini che si sono radunati fin dal mattino dietro le transenne – fischietto megafono e cartello muniti – non demordono. «Ro-do-tà, vogliamo Ro-do-tà». Un solo nome: né Prodi, né Bonino e neppure Gabanelli. Lo scandiscono i militanti e gli elettori del Pd, furiosi come il giorno prima davanti al teatro Capranica; lo ripetono gli attivisti a 5 Stelle che duettano con i loro eletti appena li vedono riemergere dal “palazzo” in uno scambio di cori e applausi; e lo gridano in coro pure i tanti cittadini venuti alla spicciolata o convocati dal «popolo Viola». Tutti accolgono la fumata nera del primo scrutinio e il mancato quorum per l’elezione di Franco Marini con un boato di esultanza.
I cartelli sono scritti a mano: «Com’è triste la vostra (ir)responsabilità»; «Stanno tirando la corda e non si accorgono che ce l’hanno attorno al collo». «Marini? E perché non Andreotti?» Qualcuno innalza la prima pagina di ieri del manifesto che per il secondo giorno consecutivo apre con la foto di Rodotà. L’immagine di Claudia – una donna sulla cinquantina iscritta al Pd dalla prima ora – che brucia la sua tessera di partito è finita nel pomeriggio sul blog di Grillo, come simbolo di un sogno che si infrange, il «suicidio e neppure assistito» dei democratici. «Bersani sicario del Pd», ha scritto Claudia su un cartoncino: «Quando mia figlia qualche mese fa si è trasferita all’estero, in fuga come tanti altri cervelli – racconta – ho capito di aver sbagliato tutto, perché il Pd non è un progetto diverso ma un partito camaleontico incistato di vecchia politica». Altri come lei sventolano la propria tessera tricolore, ma non la imitano: «Io non la ridò e non la brucio – urla un uomo – perché il partito è anche mio e sono loro che se ne devono andare».
Il tam-tam per la convocazione del sit-in era partito dalla rete: «Noi, elettori di centrosinistra, di fronte all’inciucio che potrebbe portare Marini a essere eletto presidente della Repubblica grazie ad un accordo Pd-Pdl, saremo davanti a Montecitorio», aveva annunciato il blogger viola Gianfranco Mascia, candidato alle recenti regionali nel Lazio con la lista Ingroia, che confida per spaccare il Pd in «persone come Civati, Renzi e Scalfarotto, che chiedono un ripensamento». E quando a salutarli arriva proprio Giuseppe Civati, uno di quei volti “giovani” che rinnovano lo skyline degli scranni parlamentari democratici, lo incitano: «Non mollare Pippo». Una ragazza, incredula, lo aggancia: «Ma com’è possibile, una settimana fa Bersani diceva che non avrebbe fatto accordi col Pdl e ora che fa, inciucia?». Lui rincara la dose: «Se continua così il partito è finito». Il suo compagno di partito Corradino Mineo, ex direttore di Rai news appena eletto, invece discute animatamente: «Prendetevela con Grillo che non ha voluto fare il governo perché lui è un “puro”». Pochi minuti prima in piazza s’era visto anche Nichi Vendola, ma niente bagno di folla, si ferma solo un po’ con i cronisti a parlare della «connessione sentimentale» incrinata tra il Pd e il Paese: «La gente ci chiede buona politica – afferma – Oggi un profumo di buona politica porta il nome di Rodotà. Convergere sul suo nome sarebbe un atto di coraggio per il bene del centrosinistra».
«Perché Prodi e non Rodotà?». Vito Crimi, capogruppo M5S in Senato, padroneggia perfettamente la conferenza stampa indetta davanti al portone di Montecitorio. «Stiamo votando il presidente della Repubblica – sottolinea – non possiamo farci influenzare da accordi preventivi che non ci competono». Con lui i deputati Roberto Fico, Massimo Artini, Tatiana Basilio, Alessandro Di Battista e la capogruppo alla Camera Roberta Lombardi, che assicura: «Non abbiamo piani B, siamo poco strategici e molto lineari. I cittadini hanno dato un’indicazione, non abbiamo incastrato il Pd e non c’è nessun motivo perché non possano votare Rodotà». Il costituzionalista, primo candidato dell’M5S dopo che Milena Gabanelli ha declinato l’invito, si dovrebbe ritirare, spiega Fico, come anche dovrebbero fare «Zagrebelsky, Bonino e gli altri», «prima di arrivare a Prodi»; prima che i 5 Stelle convergano sul nome dell’ex premier. «Il Paese ha deciso, dentro fanno finta di non sapere». Applausi. Ora possono tornare dentro.

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