Il paesaggio scorre come l’acqua
Mostre Nello spazio Photogallery del Mast di Bologna, la collettiva che ospita i progetti dei quattro finalisti del premio della Fondazione, vinto ex aequo dalla canadese Sara Cwynar e dal giapponese Sohei Nishino
Mostre Nello spazio Photogallery del Mast di Bologna, la collettiva che ospita i progetti dei quattro finalisti del premio della Fondazione, vinto ex aequo dalla canadese Sara Cwynar e dal giapponese Sohei Nishino
Il fallimento del linguaggio di fronte all’ambiguità del colore, alla sua percezione distorta e inafferrabile, l’impossibilità di consegnare confini certi alle gamme cromatiche che ci circondano, e insieme la loro continua standardizzazione ad opera delle industrie, che creano un universo sgargiante a uso e consumo di chi rincorre i feticci del desiderio. E, dall’altra parte, la visione frammentata, da riassemblare filosoficamente nello sguardo dell’osservatore, accogliendo prospettive diverse, da vicino e da lontano, «sfocando» l’unicità a favore della ripetizione. Soprattutto, anche qui, il protagonista è un elemento imprendibile: l’acqua che scorre del fiume Po.
Sono queste le due «macro-aree» di intervento fotografico (e video) che hanno portato la canadese Sara Cwynar e il giapponese Sohei Nishino a vincere, ex aequo, la quinta edizione del Mast Foundation for Photography Grant on Industry and Work, la selezione biennale dedicata ai talenti emergenti, che sostiene la ricerca e la produzione di progetti che convincono le giurie.
Mappe dal cielo
A Bologna, negli spazi ariosi della Photogallery Mast sono approdati in quattro finalisti. Una rosa di candidati che ha presentato – a cura di Urs Stahel – una mostra tesa, coerente, costellata di immagini in diretto link con la realtà del mondo contemporaneo, senza dimenticare la dimensione poetica che lambisce ogni visione, costeggia la vita e procede verso lo «scarto» dal quotidiano. Fino al 1 maggio prossimo, oltre alle opere dei vincitori del concorso, si potrà entrare anche dentro la città di Flint, in compagnia delle immagini di Mari Basrashevski con il suo Emergency Managers: l’indagine scandaglia la crisi idrica di quel luogo quando, a partire dal 2013, venne scelto un approvvigionamento locale, abbandonando la dipendenza da Detroit. Solo che quel passaggio delicato venne condotto in maniera incontrollata, portando all’avvelenamento di molti abitanti afroamericani (per il piombo), naturalmente appartenenti alle fasce più disagiate. Il progetto di Basrashevski è in realtà molto complesso, lei lo insegue dal 2011 sotto il titolo State Business e ha come centro, oltre alle modalità di gestione della crisi, anche le persone, i politici, gli amministratori delle istituzioni e, ovviamente, la desolazione del paesaggio.
Lo smarrimento di sé
Così, la solitudine dell’essere umano, abbandonato a se stesso, riecheggia nelle lande disabitate e nelle inquadrature a campo totale, che mettono a distanza di sicurezza la tentazione di empatia e di flussi emozionali. Le «vittime» del processo perverso che ha portato molti a perdere le proprie case, pignorate quando le bollette sono aumentate a dismisura, seppellendo ogni sogno di futuro, sono fuori cornice, in ombra, tratteggiati acutamente per assenza. A essere in piena luce, sono invece i responsabili di quel terremoto ambientale e psicologico.
Il giapponese Sohei Nishino, per circa quindici anni, ha costruito le sue «mappe dioramiche», panorami aerei immaginati come un enorme mosaico paesaggistico che mette insieme i tasselli di cielo, terra, città e, per questa volta, anche l’acqua. Il suo soggetto è il fiume Po, «ero incuriosito dal suo corso, dal suo procedere dalla montagna fino a valle, da tutto ciò che c’era in mezzo… E per fare ordine, selezionare gli scatti (ogni volta sono intorno ai 30/40mila) ho stampato da solo. L’archivio così era più intepretabile. Altrimenti, nel mare digitale, mi sarei perso!». Con negli occhi la California-puzzle di David Hockney, le sue vedute raffigurano l’intersecarsi di due mondi, micro e macro.
Con migliaia di fotografie, Nishino intercetta i 650 chilometri del percorso fluviale, in un ukiyo-e modernissimo che vede le celebri «stazioni» della tradizione pittorica giapponese trasformarsi in luoghi naturali e urbani ella pianura padana, punti di contatto lillipuziani con la conduzione dell’esistenza di quel momento preciso, l’attimo in cui si è còlto il brulicare bruegheliano della vita. Il Po diventa così un magazino di ricordi, un paesaggio-archivio che classifica e conserva – a futura memoria – frazioni temporali che altrimenti andrebbero perdute, svanite nei fumi dell’oblio.
Desideri cromatici
«Non saprò mai come vedete il rosso e voi non saprete mai come lo vedo io» è l’haiku concettuale in cui invece si può riassumere l’intrigante lavoro di Sara Cwynar (il cortometraggio Colour Factory e nove fotografie). Le tonalità dei cosmetici e la loro serialità vintage che ci viene presentata, apparentemente anaffettiva e senz’anima, acquista un’improvviso soffio vitale quando quello stesso oggetto – un rossetto come una cipria – entra a far parte del nostro «bagaglio personale», trasformandosi in strumento di identità e in collante comunitario. Ogni articolo – uscito dallo stabilimento che lo produce – assume su di sé il nostro desiderio, mutando i suoi connotati.
È così che anche il mondo dell’industria e la pubblicità intorno a un prodotto cambiano pelle e si trasformano in pattern (ossessivi anche) dell’instabilità sentimentale e emotiva. La palette dei colori sfugge al suo imbrigliamento nella storia del design. Qualcosa in essa è volatile e profondamente anarchico. Ogni manufatto, pensa Cwynar e lo dimostra nel suo progetto esposto al Mast, diviene una «narrazione» possibile, dagli esiti mai scontati. Una proiezione intima e collettiva. È, in fondo, lo stesso slittamento semantico che ritroviamo nel deserto del cileno Cristobal Olivares. Quel limite, quell’attraversamento della terra di nessuno si popola di voci, di sogni, di speranze e di immaginari condivisi. È un metalinguaggio impastato di sabbia, luci fosche, individui spaesati, che l’illusione ha catturato nella sua invisibile rete.
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