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Il pacifismo concreto di Langer, con un focus sulla Bosnia

Il pacifismo concreto di Langer, con un focus sulla Bosnia

Il libro Quei ponti sulla Drina, da Infinito edizioni

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 5 dicembre 2020

In risposta alla lettera di Staša Zajovic, fondatrice delle «Donne in nero» di Belgrado, dove raccontava le iniziative in atto contro la guerra nei Balcani , dalle stesse pagine de il manifesto il 26 gennaio 1992 Alex Langer invitava tutti i pacifisti europei a partecipare alla maratona della pace di Belgrado.

‘Bisognerà muoversi, innanzitutto, -scriveva- per incoraggiare e sostenere gli sforzi di tutti quelli, e ce ne sono ancora tanti, malgrado tutto, che nelle diverse repubbliche jugoslave antepongono le ragioni della convivenza tra nazionalità diverse e dei diritti di tutti (maggioranze o minoranze che siano) alle affermazioni di nazionalismo e di esclusivismo etnico della propria parte’.

Articoli, lettere, relazioni e interventi pubblici scritti e pubblicati da Langer tra il 1991 e il 1995 sono ora raccolti nel volume Quei ponti sulla Drina pubblicato da Infinito edizioni, pagine 172, con prefazione di Paolo Bergamaschi, introduzione di Sabina Langer e postfazione di Adriano Sofri. Il libro raccoglie testi e testimonianze di un pensiero, di un agire politico e di una vita segnata e guidata profondamente dai valori della pace, della convivenza fra popoli, della cittadinanza attiva, della non violenza, della tolleranza e di una Europa che non impara nulla di ciò che c’è da imparare dalle tragedie di Sarajevo e Srebrenica.

E con un focus sulla Bosnia, appunto, dove la guerra dei Balcani diventa paradigma e compendio di crimini e assurda violenza, nazionalismo spinto agli estremi, debolezza dell’Europa. In questi testi la scrittura di Langer vive e vibra di una straordinaria tensione tragica, viaggia sul filo sottile e sospeso di un pacifismo che si deve misurare con l’urgenza di azioni di forza che permettano alle popolazioni di evitare morti, eccidi, fame, persecuzioni e sfollamenti. Cosa si poteva e si doveva fare in quei momenti per evitare il baratro verso cui portava ‘il demone del nazionalismo’? Le posizioni di Langer sembrano maturare di anno in anno tra coerenza e pragmatismo, mettono insieme la necessità del coinvolgimento delle minoranze e dei movimenti di pace, la smilitarizzazione del conflitto, il dialogo inter-etnico, l’ecumenismo, insieme alla proposta di creare un corpo civico europeo, anche militare, che funzionasse da forza di interposizione per finire con una opzione saldamente europeista, quella di integrare cioè i Paesi belligeranti dentro l’alveo comunitario della Europa.

‘Una sanguinosa epurazione etnica a suon di massacri, stupri, deportazioni e devastazioni va avanti a tappeto, la popolazione di per sé largamente interetnica viene costretta a schierarsi con una parte contro l’altra, un baratro profondo rischia di aprirsi tra Est e ovest, tra cristiani e musulmani, tra europei da difendere ed europei che possono essere macellati tranquillamente. Tutto questo non può trovare come unica risposta l’invocazione astratta della non violenza… Preferisco il pacifismo concreto’.

Rifiutare il pacifismo dogmatico non vuole dire per Langer cedere quote di radicalità e di impegno etico e civile, significa piuttosto, prima che la morte prevalga definitivamente sulla vita, provare a medicare le ferite profonde, le cicatrici esistenziali e i disastri sociali che la guerra stava portando con sé. Tentativo purtroppo non riuscito , visti i due tragici finali di partita, quello delle popolazioni balcaniche e quello di Langer stesso. In tal senso, davvero toccante l’ultima pagina della postfazione dove Adriano Sofri racconta della foto di Ferdida Osmanovipubblicata il 15 luglio del 1995 dal Washington Post, dieci giorni dopo la morte di Langer.

Langer era stato trovato impiccato senza scarpe a un albero di albicocco sul Pian dei Giullari, sopra Firenze. Anche la foto di Ferdida mostra la donna impiccata a un albero a Srebrenica, pure lei come Alexander a piedi nudi. ‘Le coincidenze-scrive Sofri-sono l’anima delle cose della vita e della morte, oltre che dei romanzi’. Ferdida si era sentita colpevole di aver trattenuto il marito che voleva fuggire e che invece venne catturato e ucciso dalle milizie di Ratko Mladic davanti ai propri figli. Pur non facendola più a sopportare l’orrore di una guerra che minava le convinzioni più profonde e radicate di Langer, il suo gesto finale interroga tutti noi sui ponti che continuiamo a distruggere e sui muri che continuiamo a costruire. Dentro e fuori di noi, dentro e fuori i Balcani.

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