Cultura

Il nuovo museo nazionale di Oslo alla ricerca di identità

Il nuovo museo nazionale di Oslo alla ricerca di identitàIl nuovo museo nazionale di Oslo

Luoghi dell'arte Progettato dalla firma berlinese Kleihues + Schuwerk, con sede a Napoli, raggruppa quattro istituzioni: la Galleria, l'architettura, le arti decorative e l'arte contemporanea

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 2 agosto 2022

Le collezioni del XIX secolo, nel nuovo Museo di Oslo offrono immagini che tolgono il respiro del paesaggio norvegese e sono sicuramente quelle più curate ed amate dai norvegesi. Opere che indicano la centralità dell’identità nazionale del museo e il progetto di creare relazione con il passato. Sorprende questo faraonico nuovo assetto sebbene arrivato con due anni di ritardo e tra mille polemiche (i suoi 13mila mq di superficie espositiva e i 650 milioni di dollari spesi). Tuttavia, il museo rappresenta lo zenith della retorica culturale-istituzionale di un paese. I suoi giacimenti petroliferi nel Mare del Nord ne hanno alimentato lo straordinario slancio dagli anni ’90 e mentre le politiche di sostenibilità del pianeta abbracciano l’uscita dai combustibili fossili, i norvegesi ora conoscono il concetto di gesto architettonico smisurato. Dall’iconica Opera house di Snøhetta del 2008 fino al rinnovato Munch museum: costruzioni spettacolari hanno invaso lo skyline della città.

IL MUSEO NAZIONALE, progettato dalla firma berlinese Kleihues + Schuwerk, con sede a Napoli, raggruppa quattro istituzioni: la Galleria, il Museo di architettura, quello delle arti decorative e design e il Museo dell’arte contemporanea.
Del recentissimo edificio salta all’occhio il suo conservatorismo, all’interno e all’esterno Si inizia con maniacali successioni di stanze simil-neoclassiche, punteggiate da smisurate porte di legno con maniglie in ottone, e gli edifici delle archistar, da Abu Dhabi a Bilbao, con scale monumentali e pietra a vista.
A cosa serviranno 86 gallerie disseminate di statue egizie e calchi in gesso di copie greco-romane ottocenteschi? Sembra difficile, infatti, trovare qualcosa di veramente iconico tra ceramiche nordiche e vasi cinesi, in un’idea di museo di arte decorativa con abiti della regina e bric à brac di arredi con design scandinavo. L’appeal del vecchio edificio è andato perduto, ma si cominciano a pubblicizzare le mostre temporanee, sperando che decretino il successo per la spettacolare hall troneggiante dell’edificio.

SOPRANNOMINATA la Sala della Luce, arriva dopo il marmo di Carrara accecante dell’Opera house. Doveva essere in alabastro ma ci sarà un nuovo materiale più economico, che va bene lo stesso. È tornato Edward Munch e la straordinaria collezione di opere dell’artista conservate in questa istituzione fa invidia perfino al nuovissimo Munch museum. Attorno al quadro feticcio dell’Urlo, a dieci minuti di distanza, si è costruito il brand per un’intera città. La versione del Museo nazionale è più bella e sempre visibile. L’altra, purtroppo, è imprigionata in un peep show. L’inclusione degli artisti Sami nel canone museale, ammesso ne avessero davvero bisogno (tutti hanno capito la loro forza dirompente alla recente Biennale di Venezia) è affidata a un tentativo maldestro di recupero con un’opera monumentale che accoglie il pubblico già nel foyer.

MOLTO LO SPAZIO dedicato alle artiste, Oda Krogh o Harriet Backer hanno finalmente una stanza tutta per loro, così come Hannah Riggen. L’arte contemporanea è immaginata come l’asso piglia tutto nella disperata ricerca di un pubblico diverso, un’ossessione per la direttrice Karin Hindsbo. A Oslo, alle lacune nella collezione pubblica si è ovviato con una sala zeppa di artisti internazionali ormai imprescindibili. È un prestito controverso quello della famiglia Frederiksens: il capostipite della famiglia è norvegese, con cittadinanza cipriota, e ha aggirato il sistema fiscale nel 2006. Nel paese in cui il denaro pubblico non è un problema per finanziare operazioni artistiche risulta assai bizzarra questa collaborazione. Il museo ha quindi in comodato Eva Hesse, Helen Frankenthaler, Georgia O’Keefe, Alice Neel, Agnes Martin, Cecily Brown, Simone Leigh, Lynette Yiadom-Boakye per fare alcuni nomi. Dei vecchi acquisti, Michelangelo Pistoletto, con un lavoro del 1991, sembra rifletterne le nuove brame. L’artista trasformò in oggetti specchianti il mobilio ottocentesco del vecchio edificio, ingenerando polemiche per il costo dell’operazione di riciclo. A distanza di trent’anni ne è forse la nemesi. Per presentare i pochi o dimenticati concettuali locali come nuovi personaggi, li si innesta artificialmente su una storia antica. Finalmente la metratura per raccontarla esiste, ma il tutto è terribilmente datato.
Esiste una risposta diversa a cosa sia oggi un Museo nazionale, decisamente più emozionante di questa. Occorrerebbe togliere aggettivo nazionale, come avvenuto più di cento anni fa.

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