Il Nord e il Sud dei giovani autori italiani
Frammenti Intorno al romanzo "Il fiore delle illusioni" di Giuseppe Catozzella, pubblicato da Feltrinelli. Al centro, il confronto tra due culture, tra la Milano in cui l'autore è diventato cittadino ormai molti anni fa, al seguito di una famiglia migrante, e un paese lucano che Catozzella chiama Monte Aspro
Frammenti Intorno al romanzo "Il fiore delle illusioni" di Giuseppe Catozzella, pubblicato da Feltrinelli. Al centro, il confronto tra due culture, tra la Milano in cui l'autore è diventato cittadino ormai molti anni fa, al seguito di una famiglia migrante, e un paese lucano che Catozzella chiama Monte Aspro
Inventare una storia che sia però significativa, che parli a molti e possa appartenere, nei suoi significati, non solo a chi scrive ma anche a chi legge, è un’arte che sembra diventata più difficile da quando ci sono le scuole di scrittura, da quando l’editoria va a caccia di esordienti ma senza aiutarli a crescere, a non tradire le loro qualità e la loro ispirazione e però aiutandoli a parlare davvero a tanti, appassionando e stimolando la loro e nostra conoscenza e il loro e nostro bisogno di confronti. Nella letteratura italiana odierna non mancano certamente gli esordienti di talento, e gli scrittori fedeli a un loro mondo e a un loro canone, da Franchini a Mari, da Durastanti a Di Pietrantonio, da Moresco a Forgione, da Veronica Raimo a Alessio Torino, eccetera. Opere di qualità ne escono tante, che si distinguono a volte più per la tensione della loro scrittura che non per l’originalità delle loro trame, per le cose e le persone, gli ambienti e le situazioni che accostano al lettore.
Gli argomenti sono bensì più ristretti di quanto non sembri, e sarebbe interessante che qualcuno li catalogasse, li studiasse dividendoli per le loro trame. Leggo con piacere Il fiore delle illusioni di Giuseppe Catozzella (Feltrinelli, pp. 240, euro 18) ritrovandovi le qualità dei suoi precedenti libri, per esempio l’accorto dosaggio di «personale» e di «pubblico», di (non troppo latamente) autobiografico e di socialmente rilevante e, diciamo, di Nord e di Sud.
Si parla bene solo di ciò che si conosce, dicevano gli antichi, e l’autore, milanese da tempo, torna spesso, anche qui, al confronto tra due culture: tra la Milano in cui è diventato cittadino ormai molti anni fa, al seguito di una famiglia migrante (una città che ama, decisamente europea, ma di cui non mi pare consideri a sufficienza i tanti pregi, di città attiva e più che aperta ai confronti tra culture, accettante e rispettante le diversità anche se lascia che sia il caso a decidere il loro possibile amalgama, troppo cautamente favorendolo) e un paese lucano che Catozzella chiama Monte Aspro che finisce per idealizzare più del necessario, tornandovi ogni estate con i suoi.
Questo confronto Nord-Sud – su cui sarebbe interessante leggere le analisi di qualche giovane antropologo – va, in Catozzella, a favore del Sud, anche se è infine al Nord che il narratore, lui Catozzella, trova una propria strada, il proprio posto nel mondo.
La sua vocazione di scrittore vive di questo confronto, di questa differenza, come ne vive nel bene e nel male la nostra società tutta e da sempre… Tra Manzoni e Verga, non abbiamo mai sentito il bisogno di dover scegliere, ci vanno benissimo entrambi, e soddisfano entrambi il nostro bisogno di conoscenza del nostro paese e della sua storia, i bisogni dell’anima e dell’azione e la nostra convinzione che Nord e Sud sono – almeno dagli anni del «miracolo economico», più vicini di quanto non siano mai stati, pur nella diversità delle loro culture e tradizioni. Delle loro culture, non della cultura… Che momento forte e commovente fu sentir gridare tanti anni fa nei cortei degli operai e degli studenti «Nord e Sud / uniti nella lotta!».
Per questo, se Catozzella è a tratti troppo affascinato dal «paese» in cui è nato e dei suoi avi, vedendone più la diversità che le chiusure, pure subiamo anche noi il fascino della differenza e infine, come Catozzella, non ci sentiamo più stranieri a Nord che a Sud, uniti da tante, da troppe cose. Compreso da troppa televisione e da una politica che, quella no, non rinuncia mai alle sue radici, anche quando proprio becere.
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