Il tormentone del regionalismo differenziato durerà a lungo. La presidente Meloni, che non ha mai nascosto le sue perplessità, allunga il brodo. Aggiungendo come sovraprezzo il presidenzialismo.
Calderoli, il ministro degli affari regionali, ha di recente presentato una bozza di Ddl, seguito da un confronto con le regioni che ha riproposto due vecchie spaccature: quella geografica tra nord e sud e quella politica dentro il Pd tra difensori della Costituzione e contro-riformatori.

Il regionalismo differenziato è una controriforma che annovera tra i più convinti sostenitori (con una parvenza di moderato ripensamento) anche Stefano Bonaccini presidente dell’Emilia Romagna e neo candidato alla segreteria del Pd. Il dirigente piddino non vede gravi problemi di incompatibilità tra la controriforma e il Pd. Ma un Pd che nominasse segretario chi teorizza quella che è stata definita la “svolta autonomistica della sinistra” che Pd sarebbe?

Ricordo che il Pd in sanità in questi ultimi 40 anni, privilegiando le ragioni del neo-liberalismo è stato responsabile di ben tre controriforme tutte e tre fatte ai danni dell’art 32 e ai danni della riforma sanitaria del ‘78. Il regionalismo differenziato nasce da una di queste controriforme quella del Titolo V del 2001 a causa della quale oggi la sanità pubblica è diventata praticamente una fabbrica di diseguaglianze e di ingiustizie.

Oggi Bonaccini dice che il regionalismo differenziato è previsto dalla Costituzione. Ed è vero. Ma quello che non dice è che la Costituzione sui rapporti tra Stato e Regioni è stata controriformata dal Pd combinando un disastro senza pari .
Sempre Bonaccini si dichiara a proposito di regionalismo differenziato contrario ad affidare la scuola alle competenze regionali (“non possiamo pensare di avere 20 scuole diverse”) ma allora perché è invece disposto ad affidare la funzione esclusiva della sanità alle regioni pur sapendo che già ora abbiamo 20 sanità diverse tra loro fortemente discriminate?

I motivi sono tutt’altro che imperscrutabili. Solo la grande piaga della mobilità sanitaria sposta dal sud al nord circa 5 mld e la regione che ha il saldo attivo più alto è proprio quella di Bonaccini circa 294 mln. Secondo il leader pd andrebbe eliminata la questione dei residui fiscali. Giusto, ma allora perché nei pre -accordi delle regioni si propone di finanziare le regioni attraverso criteri proporzionali non già ai bisogni della gente ma in qualche modo alla ricchezza locale, cioè secondo uno dei più importanti principi neoliberisti usati dai nemici del welfare state? Tra le pre-intese e il problema dei residui fiscali non c’è una grande differenza. Se non è zuppa è pan bagnato.

Rammento che per “residui fiscali” si intende la differenza tra tutte le entrate fiscali pubblicamente riscosse in un determinato territorio e le risorse che in quel territorio vengono spese.
Uno studio, del 2014, dell’Istituto Eupolis della regione Lombardia quantificava in oltre 47 miliardi di euro il residuo fiscale lombardo, per l’anno 2013. Nel 2015 la Cgia di Mestre ha quantificato in oltre 100 miliardi di euro il residuo fiscale delle regioni del Nord Italia.

Quattro sono i punti politici irrinunciabili del regionalismo differenziato che nessuno ha il coraggio di confessare:
1)distribuire le tutele pubbliche in modo proporzionato al reddito locale
2)riconoscere a chi è ricco una speciale autonomia
3) riconoscere alle regioni ricche il diritto di “secedere” da un sistema sanitario nazionale
4) passare dalla solidarietà alla carità. Robaccia come la “terza via del Pd al federalismo” .