Davide ha 50 anni ed è in cassa integrazione dallo scorso aprile. Ogni mese percepisce uno stipendio di circa 1000 euro con cui sfama due figli e paga 350 euro di affitto. Agli inizi del nuovo anno la cassa terminerà, e Davide non percepirà più nemmeno quei soldi. Scatteranno i licenziamenti collettivi. Come lui, sono qualche migliaio i lavoratori che, se la situazione dovesse rimanere questa, nel 2024 potrebbero non ricevere più un salario dall’industria metalmeccanica. Sono i lavoratori dell’indotto dell’ex Ilva di Taranto.

DAVIDE ABITA IN CITTÀ e lavora all’interno della fabbrica da 15 anni. È impiegato nella manutenzione degli impianti per un’azienda che ha lavorato qui dentro fin dalla costruzione dell’Italsider, negli anni ’60. È la Peyrani spa, azienda piemontese con 100 anni di storia ed appalti in tutto il mondo. «Soltanto a Taranto siamo 75 dipendenti. Non c’è nessuna rotazione perché siamo tutti fermi da più di un anno. Hanno bloccato le bonifiche, hanno abbandonato la manutenzione degli impianti», racconta mentre di fronte a Palazzo Chigi è in corso la conferenza stampa convocata con urgenza dai sindacati metalmeccanici per denunciare ancora una volta l’inerzia del governo e gli atteggiamenti anti sindacali della multinazionale Arcelor Mittal nella annosa vertenza che li vede opposti per la salvaguardia del lavoro e del pane che proviene dalla grande matrigna siderurgica.

IN ATTESA DELL’INCONTRO con il governo Meloni che avverrà il 20 dicembre, i segretari generali dei tre sindacati confederali hanno incontrato i cronisti assiepati in piazza Colonna, e circondati da un vasto plotone di agenti in borghese. Michele De Palma della Fiom confida che «per quella data dovremo avere risposte definitive, a partire dalla questione della gestione, vista la scelta di Arcelor Mittal di non investire negli impianti in Italia». Poi, il sindacalista auspica come unica soluzione possibile la gestione da parte dello stato. «Nel frattempo, bisogna fare interventi di manutenzione, visto che c’è stato un nuovo incidente e c’è stato anche il tentativo di chiudere l’altoforno 2 e gli unici che stanno preservando la produzione siderurgica sono proprio i lavoratori che stanno scioperando», dice ancora De Palma, ribadendo infine che «da parte di Arcelor Mittal esiste un comportamento oggettivamente anti-sindacale, perchè non rispetta il dialogo con i delegati, i lavoratori e le organizzazioni sindacali». Più minaccioso è il segretario dei metalmeccanici Uilm Rocco Palombella secondo il quale «se succederà qualcosa, malauguratamente, scoppierà la rivoluzione dei lavoratori per difendere l’occupazione e gli impianti».

ECCOLO IL NATALE DI INCERTEZZA e protesta che attende Taranto. Per Palombella: «Il governo e l’azienda stanno scherzando con il fuoco, sanno benissimo che non saranno in grado di governare la protesta e l’indignazione di migliaia di lavoratori». Altrettanto realistico è il capo dei metalmeccanici Fim Cisl Roberto Benaglia: «Gli impianti sono al minimo storico. Di fatto non si lavora più, così nelle prossime settimane si fermeranno definitivamente le attività». Tutto dipenderà da quanto decideranno i quattro uomini del governo Meloni che hanno in mano la partita: Adolfo Urso e Giancarlo Giorgetti, Raffaele Fitto e Alfredo Mantovano, se garantire o meno un ulteriore miliardo di euro di capitale pubblico come richiesto da Mittal, o se arrivare alla rottura con la multinazionale; in tutti i casi si dovrà avvenire a una soluzione che possa rendere meno amaro il Natale che attende Taranto. È una vigilia amara anche per il sindaco Rinaldo Melucci che, dopo il suo clamoroso passaggio nelle scorse settimane dal Partito Democratico alla direzione nazionale di Italia Viva, si è tirato addosso le ire del Movimento Cinque Stelle e dei settori più progressisti della maggioranza Brancaleone che lo sostiene. Mentre scriviamo, infatti, il consigliere comunale eletto con Europa Verde, Antonio Lenti, ha annunciato che non sosterrà più la maggioranza, dato che «il sindaco ha aderito al partito di Matteo Renzi, ottenendo un incarico nazionale dopo aver fatto diventare il suo gruppo consiliare il più numeroso in Consiglio Comunale. E Matteo Renzi, non è compatibile con la nostra storia e le battaglie fatte», sostiene Lenti.

LO SCONTRO TRA LE FORZE di maggioranza sembra essere giunto dunque al suo apice, così come quell’esperienza di governo potrebbe essere arrivata al capolinea. A far traballare a Melucci la poltrona in comune è, in tutti i casi, non solo il posizionamento sulla vicenda Ilva, ma piuttosto, appunto, le manovre di palazzo, come è la decisione del sindaco di imbarcarsi in maggioranza due consiglieri comunali “discussi” come Carmen Casula e Filippo Iliano, già finiti entrambi a processo per truffa sui rimborsi elettorali (il secondo è stato prescritto, Casula è imputata) e di un altro consigliere ora in Italia Viva ma eletto con il centrodestra locale, Massimiliano Stellato. È in questo scenario che anche alcuni circoli del Pd hanno chiesto ai loro assessori di rinunciare alle deleghe. E così la poltrona del sindaco rischia fortemente di traballare. Con il rischio che sia un Natale amaro anche per Melucci, oltre che per migliaia di lavoratori. «Dei tanti Vincenzo Buonocore d’Italia vittime di un capitalismo straccione e di una classe dirigente inetta e famelica», avrebbe scritto in queste ore Ermanno Rea.