Il muro Ue e l’attesa di Atene
Grecia Bruxelles e Berlino non hanno rinunciato al loro disegno di costringere Tsipras a tornare sui suoi passi
Grecia Bruxelles e Berlino non hanno rinunciato al loro disegno di costringere Tsipras a tornare sui suoi passi
La strategia seguita finora da Tsipras è coerente con il suo programma preelettorale: instaurare una dura trattativa con i grandi sacerdoti di Bruxelles e i loro «azionisti di riferimento» tedeschi. Strappare concessioni e resistere fino alla fine alle pressioni per tornare alla vecchia politica di austerità. Al contrario di quello che si vuole far credere, Atene ha ottenuto sia successi, sia pareggi.
Tra i successi c’è l’accettazione (anche se obtorto collo) da parte dell’eurogruppo del piano di misure di Varoufakis. Un piano che non contiene neanche una misura di austerità. Il pareggio è il controllo da parte della troika, che comincia oggi. Ma con la differenza importante che ora abbiamo emissari tecnici che si confrontano con i tecnici greci, lasciando fuori le questioni politiche.
Negli ultimi giorni è diventato evidente che Bruxelles e Berlino non hanno rinunciato al loro disegno di costringere Tsipras a tornare sui suoi passi. Anzi, fare finta che abbia già fatto il grande salto.
«Il governo greco avrà grosse difficoltà a spiegare agli elettori l’accordo», aveva dichiarato Scheuble. L’avvenimento che ha messo in allarme il governo di Atene è stato l’annuncio da parte di Draghi che la Grecia sarebbe stata esclusa dal quantitative easing, accompagnato dalla- del tutto ingiustifcata- decisione della Bce di non restituire ai greci i circa 1,9 miliardi di guadagni sui bond greci.
Da quel momento ogni mossa di Bruxelles e di Berlino è stata attentamente esaminata e ponderata. Il disegno che si intravede è il seguente: evitare la strategia iniziale di considerare le politiche di austerità come conditio sine qua non per l’appartenenza all’eurozona. Accettare le proposte di Atene, spingere per la loro realizzazione, ma evitare di sganciare i soldi. Tsipras ha parlato di «corda attorno al collo». Il fine è provocare il lento logoramento del governo fino alla sua delegittimazione, in modo da arrivare a una crisi politica, possibilmente all’annullamento del risultato delle elezioni di gennaio.
Fino a quando non ci sarà una restaurazione, attraverso una (improbabile) vittoria elettorale delle forze neoliberiste. È questo il segreto che si nasconde dietro al cocciuto rifiuto dell’ex premier di destra Antonis Samaras di lasciare la poltrona di presidente di Nuova Democrazia: è convinto, ne ha ricevuto precise assicurazioni, che il governo Tsipras sarà solo una «breve parentesi». Paradossalmente, a questo progetto partecipano involontariamente anche le forze interne a Syriza che contestano la strategia del governo. Finora la contestazione non ha avuto grande impatto, anche perché l’opposizione di sinistra non è in grado di proporre una strategia alternativa. Negli ultimi giorni inoltre i toni si sono abbassati molto e le eventuali contestazioni si esprimono a livello di Consiglio dei ministri sui provvedimenti da prendere.
Quest’ultimo è un aspetto di debolezza del governo della sinistra greca. Dal 25 gennaio a oggi sembra che l’attenzione di tutta la squadra di Tsipras si sia concentrata sulle trattative con Bruxelles e si è fatto pochissimo sul piano interno. Finora sono stati presentati in Parlamento i (doverosi) provvedimenti per l’emergenza umanitaria e il progetto legge per la ricostruzione della Tv pubblica Ert.
Cosa si farà con le forze di polizia fortemente infiltrate dai nazisti di Alba Dorata? Il ministro Panoussis non l’ha chiarito. Eppure, ogni ritardo è pericoloso: la settimana scorsa un generale di polizia ha organizzato una provocazione rigurdante i rifugiati. E a Exarchia, il quartiere ribelle di Atene, succede che bande di anarchici incontrollabili provochino violenze gratuite e la polizia non ha alcuna indicazione su come deve comportarsi. Lo stesso vale anche in altri settori: il potere latita e nel vuoto si inseriscono gruppi d’interesse, di solito corporativo.
Bisogna anche ammettere che Dijsselbloem ha ragione quando accusa Atene di «aver perso tempo». Il piano di Varoufakis non esige grandi spese, solo un tenace lavoro di riorganizzazione e di indirizzo della caotica amministrazione pubblica greca.
Tsipras ha rimproverato il suo ministro di dare troppe interviste invece di lavorare. Ha ragione. Il piano è opera del suo ministero, prevede provvedimenti giusti e necessari, non si capisce cosa si aspetta a cominciare a presentare i relativi progetti legge.
È un passaggio cruciale nella strategia di Tsipras: se si punta tutto sulla negoziazione, bisogna che i risultati raggiunti si trasformino in realtà. Non per far contento Scheuble – il quale, al contrario, masticherà amaro – ma per fare contenti i greci. Lo scontro con gli oligarchi non è solo un punto concordato con Bruxelles, è il primo e il più importante mandato dato dall’elettorato alla sinistra.
Varoufakis deve preparare al più presto il nuovo sistema delle imposte, con esenzioni importanti per i più poveri e meccanismi efficienti per combattere la scandalosa evasione dei più ricchi. Se lo farà in tempi rapidi, quel 60-80% che oggi sostiene il governo si trasformerà in uno scudo fortissimo contro ogni ipotesi di destabilizzazione e di strangolamento del paese.
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