È la lingua e non un nome a far paese e a dir di più del suo «nom de plume» è l’italianità di Matthew Lee. Mentre, il modo di far musica lo è un po’ meno. Ciò sembra misurarne le potenzialità artistiche e internazionali. Infatti, da questa prospettiva cominciano a vedersi delle nuove trame nel personalissimo wall of sound, mattonato dal modo in cui canta, suona e pesta i tasti del pianoforte, che gli consentono di passare da funambolo della tastiera a musicista totale che non nega le proprie doti performative vocali e strumentali. Peraltro assecondato da un gruppo di...