Proprio quando la Biennale annuncia la copia restaurata di Le mani sulla città, esplode la gestione del Mose in laguna. Ieri all’alba la Guardia di finanza ha eseguito 14 arresti. Un centinaio gli indagati, e 140 perquisizioni effettuate fra Lombardia, Friuli, Emilia, Toscana, Lazio e Campania. Forse, i “padroni del Veneto” non dettano più legge impunemente…
L’inchiesta della Procura di Venezia ha scoperchiato il sistema della concessione unica (in vigore dal 1984) che assegna al Consorzio Venezia Nuova la realizzazione del sistema di paratie mobili in laguna. Ai domiciliari per turbativa d’asta Giovanni Mazzacurati, 81 anni, padre del regista Carlo, già presidente e dg del Consorzio Venezia Nuova dimessosi a fine giugno. Stesso provvedimento per Pio Savioli, consigliere del Consorzio; Federico Sutto, dipendente del Consorzio; Roberto Boscolo Anzoletti, rappresentante legale della Lavori Marittimi e Dragaggi Spa; Mario Boscolo Bacheto e Stefano Boscolo Bacheto, amministratori della Cooperativa San Martino; Gianfranco Boscolo Contadin, direttore tecnico della Nuova Co.ed.mar. Obbligo di dimora per Valentina Boscolo Zemello, rappresentante legale della Zeta Srl; Antonio Scuttari della Clodiense Opere Marittime; Carlo Tiozzo Brasiola della Somit Srl; Luciano Boscolo Cucco de La Dragaggi Srl; Dimitri Tiozzo della Tiozzo Gianfranco Srl; Juri Barbugian, Nautilus Srl; Erminio Boscolo Menela, rappresentante legale della Boscolo Sergio Menela e Figli Srl.
Secondo gli inquirenti, dietro il Mose affiorano anche le “cartiere” indispensabili alla creazione di fondi neri all’estero. La Gdf veneziana ha preso le mosse da una verifica fiscale negli uffici della Coop San Martino di Chioggia: è spuntata una società austriaca per cui lievitavano i costi di palancole e sassi da annegamento provenienti dalla Croazia. Ma l’aspetto più inquietante riguarda i cantieri in laguna: a Mazzacurati viene contestato di aver agevolato un pool di imprese con l’assegnazione dei lavori «fuori quota», che esulano dai principi del cosiddetto «prezzo chiuso». In sostanza, il Mose in regime di monopolio con un flusso di denaro pubblico affidato al Consorzio.
Il primo arresto eccellente connesso al Mose era stato quello di Piergiorgio Baita, protagonista nella Tangentopoli veneta degli anni ’90 poi approdato al vertice della Mantovani (specializzata in Grandi opere versione project financing). Inizialmente difeso dallo studio dei parlamentari berlusconiani Longo-Ghedini, dal carcere di Belluno Baita ha cambiato strategia: nuovi avvocati, disponibilità al patteggiamento e soprattutto un interrogatorio-fiume con il pm Stefano Ancilotto.
Nei verbali di Baita, affari & politica con il finanziamento “bipartsan” delle campagne elettorali. La Mantovani (ora affidata all’ex questore di Treviso Carmine Damiano, nominato presidente del Cda) a Nord Est era sinonimo di Passante autostradale, ospedali, ma anche Mose. Con il giro del mondo delle “pietre” destinate alle bocche di porto: caricate in Croazia a beneficio dei cantieri veneziani, ma con una fatturazione di circa 30 milioni in… Canada. Ttutti questi faldoni della Procura veneziana, di fatto, sono stati innescati dall’arresto e dalla condanna di Lino Brentan ex ad dell’Autostrada Padova-Venezia.
«Dopo l’arresto di Baita per frode fiscale, il nuovo filone di indagini dimostra che la realizzazione di grandi opere, spesso inutili, attraverso procedure straordinarie sottratte a ogni controllo, è il cuore della costruzione di sistemi di potere finalizzati all’accaparramento di enormi risorse pubbliche da parte di pochi. E’ il caso del Mose, che è costata e costerà oltre sei miliardi di euro» commenta Beppe Caccia, consigliere della lista “in Comune”, che sollecita il parlamento a cambiare la “legge speciale” per Venezia. Alla luce delle “novità” di ieri, appare urgente un’effettiva verifica contabile delle risorse assegnate al Consorzio (in passato presieduto anche da Luigi Zanda, ora capogruppo Pd al senato). Il governo Monti aveva stanziato 1,2 miliardi per il Mose: una quota del 12% in realtà è destinata all’attività di management del Consorzio per 60 milioni all’anno! E spulciando i bilanci non mancano sorprese in materia di consulenze, rimborsi, collaborazioni.
Insiste Caccia, documenti alla mano già agli atti a Ca’ Farsetti: «L’inchiesta sta dimostrando che almeno parte delle risorse pubbliche sono finite a costituire fondi neri attraverso false fatturazioni presso la società con sede a San Marino controllata dai più stretti collaboratori dell’ex governatore Giancarlo Galan, oggi deputato Pdl. Come si capisce dai nostri conti i 10 milioni su cui ha indagato la Finanza sono una goccia nel mare di denaro. Vogliamo se questi fondi neri sono serviti a pagare ancora tangenti e a chi».