Il «moscerino killer» asiatico dei piccoli frutti
Il fatto della settimana Si chiama Suzukii e arriva da Oriente. Ha messo in ginocchio i produttori della Valpolicella e dell’Alto Adige. Colpite anche albicocche e uva
Il fatto della settimana Si chiama Suzukii e arriva da Oriente. Ha messo in ginocchio i produttori della Valpolicella e dell’Alto Adige. Colpite anche albicocche e uva
Un moscerino può diventare il grande alleato di centinaia di ricercatori o un incubo per migliaia di agricoltori. La differenza tra due destini tanto diversi è insita nella specie, che ne determina utilità piuttosto che pericolosità: se la Drosophila melanogaster, il comune moscerino della frutta, da tempo è oggetto di ricerca per gli studiosi di genetica, per quanto riguarda invece la variante suzukii la natura ha scelto un ruolo che male si concilia con gli interessi umani, per via della sua capacità di danneggiare la frutta fresca. In questo senso il 2018 è un anno anomalo, ma il meteo piovoso ha solo rinviato l’allarme – almeno per quanto riguarda il ciliegio – alle colture tardive. Il 2016 è stato annus horribilis: il moscerino ha messo in ginocchio i produttori della Valpolicella, con i conferimenti di ciliegie calati del 47%: un danno di oltre 3,5 milioni di euro, 10 milioni in tutto il Veneto. Passando ai piccoli frutti, anch’essi obiettivo molto colpito dalla suzukii, l’Alto Adige ha stimato sullo stesso anno una perdita del raccolto fino al 70% del totale. Anche albicocche e uva sono prese di mira da questo piccolo animale che viene dalla Cina. In Italia, dalla Puglia risalendo lungo lo stivale, quasi tutte le regioni devono fronteggiare questa temibile specie invasiva.
Suzukii ha un nome che ai più ricorda solo una marca di veicoli ed è comparsa nel vecchio continente una decina di anni fa. Fino ad allora per i nostri studiosi Drosophila era sinonimo del moscerino da frutta tradizionale, un animale che per la sua particolare conformazione viene considerato un «organismo modello». È infatti uno degli insetti più studiati in genetica e in biologia, sia per la semplicità della sua struttura cromosomica che per la facilità dell’allevamento in laboratorio. A partire dal 1910 i moscerini della frutta furono di aiuto a Thomas Hunt Morgan per compiere i suoi studi sull’ereditarietà, descrivendo i meccanismi ereditari legati al cromosoma X. È curioso rilevare come uomo e moscerino abbiano in comune parte del proprio patrimonio genetico e che molte malattie conosciute si possano quindi verificare nell’animale. «Un premio Nobel ogni dieci viene dal ricercatore del moscerino» semplifica con una battuta Omar Rota Stabelli, evoluzionista della Fondazione Edmund Mach, in prima linea in Italia negli studi incentrati sulla Drosophila.
SE IL MOSCERINO DELLA FRUTTA è un animale ben noto ai genetisti, la variante suzukii alle nostre latitudini era molto meno conosciuta fino al recente passato. Originaria del Tibet, ha sviluppato caratteristiche peculiari di adattamento sia ai climi freddi che a quelli temperati. «Le sue femmine utilizzano un robusto ovopositore a forma di sega per inserire l’uovo direttamente nella polpa dei frutti sani prima che essi giungano a completa maturazione – ci spiega Rota Stabelli – portandoli al disfacimento in pochi giorni».
Eppure, fino al 2008, suzukii non aveva mai volato fuori dall’Asia. L’invasione europea è cominciata circa dieci anni fa dal porto di Marsiglia, in concomitanza con l’apertura di nuove tratte commerciali tra Europa e Oriente. Si presume che l’animale abbia viaggiato all’interno di container usati per il trasporto della frutta, e c’è chi suppone che il suo arrivo nel vecchio continente e in Nord America si possa fare coincidere con un supposto inasprimento della guerra commerciale tra produttori asiatici da un lato ed europei e americani sul fronte opposto. Sicuramente fin dal principio i danni sono stati ingenti: 500 milioni di dollari persi nei raccolti di frutti di bosco solo in Oregon, California e Washington nel 2010. Dall’anno scorso suzukii ha raggiunto anche il Cile.
FINORA L’EFFICACIA DEI TRATTAMENTI CHIMICI è risultata in larga parte insufficiente e presso la Fondazione Edmund Mach un gruppo di lavoro è impegnato in indagini volte a individuare mezzi di controllo sostitutivi o integrativi la difesa chimica. «I metodi tradizionali di contrasto prevedono il posizionamento di reti o l’uso di antiparassitari, ma la confusione sessuale attraverso la diffusione di maschi sterili è una soluzione alternativa – spiega Rota Stabelli – Anche l’introduzione di parassiti dei parassiti nell’ambiente di D.suzukii si è rivelato efficace. In particolare ci sono piccole vespe che nidificano nelle larve del moscerino, divorando poi l’animale dall’interno».
Per arrivare a sviluppare queste strategie è necessaria una conoscenza dettagliata della biologia dell’animale e del suo corredo genetico. «Si incomincia con le indagini sul campo, sia per stabilire la quantità di esemplari e l’incidenza del problema, sia per rilevare dati da inserire in modelli di previsione sulla diffusione del parassita». In base a parametri quali temperatura, condizioni climatiche e altre variabili è così possibile stabilire la diffusione della specie invasiva nell’anno a venire.
LA RICERCA SULLA DROSOPHILA è stata l’occasione per arrivare a creare una task force pronta a intervenire nei confronti di questa e altre specie esotiche invasive. Lo scorso maggio ben 30 drosofilisti europei si sono riuniti a San Michele all’Adige per fare il punto della situazione e per tracciare una sorta di mappa: l’obiettivo è capire dove avvengono le invasioni e secondo quali rotte le suzukii si spostano all’interno delle varie regioni europee. I danni inflitti dal moscerino variano infatti a seconda delle zone più colpite di anno in anno, senza permettere un’azione unitaria di risposta. «È ormai diffusa in tutta Europa e i piccoli produttori in molti casi hanno abbandonato le coltivazioni – conclude Rota Stabelli – Nei primi anni la perdita del raccolto era diretta, ora bisogna preventivare un costo per il contrasto al parassita. Dal punto di vista degli agricoltori non sempre conviene». Una pubblicazione della Fondazione Edmund Mach risalente al 2015 relativa al Trentino stimava in 2,8 milioni di euro il valore delle perdite di raccolto per i piccoli frutti in assenza di una strategia di contrasto; 1,5 milioni invece la diminuzione di ricavi a fronte di una lotta integrata tra pesticidi e tecniche innovative: quasi la metà. La ricerca prosegue da questo punto, cercando nuove soluzioni con un impatto economico sostenibile dalla comunità.
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