All’indomani della vittoria della destra alle elezioni politiche, dal presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinal Matteo Zuppi, arriva una nota che delimita il perimetro e traccia precise linee di azione per il nuovo Parlamento e il nuovo esecutivo.

«La Chiesa continuerà a indicare, con severità se occorre, il bene comune e non l’interesse personale, la difesa dei diritti inviolabili della persona e della comunità», con particolare attenzione ai «più deboli» e ai «meno garantiti», dichiara Zuppi. Elencando poi una serie di «problemi del nostro Paese» che assomiglia a una vera e propria agenda di governo: «le povertà in aumento costante e preoccupante, l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale».

Dalle parole del presidente dei vescovi italiani sembra di cogliere qualche preoccupazione per possibili derive “sovraniste” del futuro nuovo governo, sottolineata, per esempio, dall’attenzione particolare dedicata all’accoglienza dei migranti. Del resto la stagione in cui Matteo Salvini dal Viminale guidava la campagna contro «i clandestini» e contro le ong che li salvavano dall’annegamento nel Mediterraneo è ancora piuttosto recente. E la stessa probabile prossima premier, Giorgia Meloni, ha più volte annunciato la volontà di attuare un «blocco navale» nel Mediterraneo per fermare le barche dei migranti (salvo poi ridimensionare il proposito in un faccia a faccia pre-elettorale con Enrico Letta).

L’attenzione al sociale di Zuppi, maturata nei decenni trascorsi nella Comunità di Sant’Egidio, lo porta a guardare con più simpatia a sinistra che a destra. Non è un caso che Paolo Ciani, uno dei due unici eletti del centro-sinistra alla Camera a Roma nell’uninominale (l’altro è Morassut), provenga dalle fila di Sant’Egidio e sia un esponente di Demos, movimento molto vicino alla Comunità. Ma questo non significa che la Cei farà opposizione preventiva al futuro governo: il presidente dei vescovi, non nuovo alla frequentazione dei palazzi della politica, è uomo di mediazione più che scontri; e la Cei, archiviate le stagioni di Ruini e in parte di Bagnasco, è decisamente meno interventista, tranne alcune forti prese di posizione, anche recenti, sui temi etici, sui quali peraltro potrebbe esserci una discreta sintonia con il nuovo esecutivo.

Le professioni di fede a mezzo stampa e sui palchi dei comizi politici italiani ed europei di Meloni («sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana») e le citazioni di fantomatiche frasi di Francesco d’Assisi non saranno sufficienti a farsi spalancare i portoni dei sacri palazzi, che peraltro l’aspirante premier non hai mai frequentato con assiduità. Ma è certo che non le troverà nemmeno sbarrate: la Chiesa da parte sua – ha concluso Zuppi –, nel rispetto delle dinamiche democratiche e nella distinzione dei ruoli, non farà mancare il proprio contributo per la promozione di una società più giusta e inclusiva».