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Il mondo narrato dalle donne Un’immagine oltre il genere

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Festival A Milano «Sguardi altrove», cinema al femminile. Un focus su Israele tra Ronit Elkabetz e Shira Geffen Masterclass con Costanza Quatriglio

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 13 marzo 2015

Nella notte degli Oscar Patricia Arquette lo ha detto con chiarezza, a Hollywood gli uomini continuano a essere più considerati delle donne. E gli applausi che hanno accompagnato la sua dichiarazione fanno pensare che il sentimento dell’attrice, magnifica interprete di uno dei film più belli degli ultimi anni, Boyhood di Linklater, sia più che condiviso. Non solo a Hollywood, e non solo nel cinema. Ecco che dunque un festival come Sguardi altrove (a Milano dal 20), dedicato al cinema delle donne, registe e protagoniste, appare attuale ancora oggi che molte cose vengono date per acquisite. O forse persino di più visto che dagli anni delle lotte femministe le questioni dei diritti – lavoro, tutela, salute ecc, ma la cosa non riguarda solo le donne – hanno subito pericolosi arretramenti. Fino alle violenze continue di una brutalità omicida mascherata da amore o da credo religioso.

Il Festival, diretto da Patrizia Rappazzo, e frutto a quanto si legge nella cartella stampa di un lavoro collettivo di più curatori, offre numerose sezioni e proposte.Inaugurazione il 20 affidata a Tales – era in gara alla scorsa Mostra del cinema di Venezia dove ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura – di Rakhshan Banietemad, regista iraniana con un esordio da documentarista, che passa al cinema narrativo – il suo primo film The Blue-Veiled ottiene il Pardo di bronzo al Festival di Locarno. Tales come suggerisce il titolo intreccia diverse Storie di donne e di uomini a Tehran.

Il tema dell’edizione 2015 «Identità plurime, identità negate. Diaspore territoriali», attraversa le diverse sezioni, a cominciare dal focus principale dedicato al cinema israeliano. Otto film girati negli ultimi dieci anni, che uniscono figure femminili potenti – come quelle nei film dei fratelli Ronit e Shlomi Elkabetz, la prima anche superba attrice del cinema israeliano, protagonisti di un piccolo omaggio – tre film, Shiva, Prendere moglie, Viviane. O in Ana Arabia, il magnifico piano sequenza di Amos Gitai che si immerge in una comunità quasi clandestina di arabi e ebrei, tessendo le storie di donne e di uomini che raccontano un passato cancellato. E ancora in Self Made di Shira Geffen – la regista di Meduse cofirmato col marito Edgar Keret – due giovani donne, un’artista israeliana e un’operaia palestinese che si scambiano le loro vite al check point. Sono film, come Heritage, esordio da regista di Hiam Abbas, la star palestinese (Il giardino dei limoni), che mostrano soprattutto come nel corso degli anni l’immaginario israeliano abbia spostato la rappresentazione del conflitto israelo-palestinese a una dimensione più intima, e quotidiana, che investe l’esistenza delle persone, e forse per questo è più profonda.
Anche in gara c’è un film israeliano, Ben Zaken (era allo scorso Forum di Berlino) di Efrat Corem, una storia familiare che diviene anche il ritratto di un quartiere. Nel concorso Nuovi sguardi, dedicato ai lungometraggi (ci sono poi il concorso doc e quello dei corti) va segnalato The blue wave di Zeynep Dadak e Merve Kayan, due registe turche che narrano la storia d’amore di una studentessa divisa tra un suo compagno e il professore, le sue incertezze sul futuro e la mutazione della città.

Tra gli eventi speciali, Qualcosa di noi di Wilma Labate, ritratto di una prostituta che affiora nell’incontro tra la donna e un gruppo di studenti. Una relazione che rivela a tutti «qualcosa di noi» segreto e ineffabile.

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